di
Davide Frattini
Netanyahu accetta alcune modifiche all’elenco di richieste da Hamas, per indebolire l’Anp. L’intesa finale lascia in cella i capi favorevoli al piano dei due Stati. Israele non renderà le salme dei Sinwar
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – Smagrito e con la barba rada nelle fotografie diffuse per umiliarlo da Itamar Ben-Gvir, ministro fanatico e oltranzista, Marwan Barghouti appare ancora più piccolo. Alto non è mai stato: i palestinesi lo hanno soprannominato «Napoleone» per la piccola statura e le grandi ambizioni.
Condannato a cinque ergastoli nel maggio del 2004 per il coinvolgimento negli omicidi di quattro israeliani e un monaco greco, ancora una volta è rimasto fuori dalla lista dei detenuti da scarcerare in cambio del rilascio dei venti ostaggi in vita tenuti a Gaza.
Leader tra i più popolari durante la seconda intifada, è considerato dai palestinesi il simbolo della resistenza all’occupazione: il suo carisma ha preoccupato in passato il raìs Abu Mazen che l’ha lasciato in cella quando Ehud Olmert aveva offerto di lasciarlo andare. Perché l’ex primo ministro israeliano è convinto — e come lui anche capi dei servizi segreti — che il prigioniero più celebre possa essere il leader in grado di unire le fazioni (lo ha fatto in carcere), di contrastare Hamas, soprattutto con lui — sostiene anche chi l’ha arrestato — si potrebbe trattare un accordo di pace verso la nascita dello Stato palestinese.
Eppure non esce e in cella restano pure altri 11 capi del Fatah, il gruppo fondato da Yasser Arafat, il partito laico che si oppone ai fondamentalisti. Il governo israeliano ha accettato di toglierli dall’elenco su richiesta di Hamas e li ha sostituiti con condannati che appartengono all’organizzazione islamista.
La concessione sta bene a Netanyahu che procede con la strategia di indebolire l’Autorità Palestinese, non vuole fare regali ad Abu Mazen, che a 89 anni è forse pronto ad accettare la concorrenza di Barghouti libero per le strade, meno disposti a cedere sono i fidati consiglieri della sua corte alla Muqata di Ramallah.
Quando lunedì — se tutto va come previsto — gli ostaggi potranno tornare a casa dopo oltre due anni, dalle prigioni usciranno 250 detenuti: è vero che la maggior parte appartiene a Fatah, ma Hamas ha fatto in modo di lasciare in cella gli avversari politici più duri come Jamal Rajoub che si è scontrato con il gruppo proprio perché sostenitore della soluzione dei due Stati.
Molti dei prigionieri nell’elenco stanno scontando pene per terrorismo, hanno commesso attentati, omicidi o li hanno organizzati: tra loro gli israeliani ricordano bene Raed Sheikh e le immagini terribili del linciaggio di due soldati che erano entrati per errore con l’auto a Ramallah. I militari erano stati portati in una caserma della polizia, assaltata dalla folla, Sheikh era un agente dell’Autorità e aveva partecipato al massacro nel 2000, inizi della seconda intifada.
Mahmoud Qawasmeh era già stato lasciato andare nell’intesa per la liberazione del caporale Shalit nel 2011 e riarrestato a Gaza durante la guerra: era stato arrestato per il rapimento e l’assassinio di tre giovani israeliani in Cisgiordania. Gli omicidi sono stati tra le cause che hanno scatenato il confitto tra Israele e Hamas nell’estate del 2014.
Gli israeliani rilasceranno anche oltre 1.700 palestinesi di Gaza catturati durante la guerra: nessuno tra loro ha partecipato alla mattanza del 7 ottobre 2023. Verranno restituiti i corpi di 360 «terroristi» — comunicano i portavoce — ma Netanyahu si è rifiutato di rimandare a Gaza i cadaveri di Yahya Sinwar e del fratello Mohammed, che insieme hanno pianificato gli attacchi di due anni fa ai villaggi israeliani nel sud.
10 ottobre 2025
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