Dietro l’apparente normalità dei locali del centro cittadino si nascondeva una rete di spaccio consolidata, che aveva trovato nella vita commerciale la propria copertura ideale. È quanto emerge dall’ordinanza cautelare alla base di una serie di arresti eseguiti dalla polizia locale di Genova nell’ambito di un’articolata indagine antidroga. Il principale teatro delle operazioni era un esercizio pubblico noto come Caffè Ristorante Dakar Night — o un locale affine, indicato anche come Isy Bell — trasformato in una vera e propria centrale di smistamento. La frenesia dei clienti, la musica, il via vai continuo di persone offrivano la cornice perfetta per mascherare i movimenti degli spacciatori.

“Cucinare la roba”: il codice della droga

Dalle intercettazioni emerge un linguaggio in codice tanto ingegnoso quanto inquietante. Gli indagati usavano termini mutuati dalla cucina per descrivere le fasi di preparazione della droga: “cucinare” significava tagliare, miscelare e confezionare lo stupefacente. Uno degli interlocutori, per esempio, chiedeva istruzioni su come “cucinare bene” la sostanza, segno di un apprendistato criminale mirato a salire di grado nel giro dello spaccio. Persino l’assenza dal locale veniva giustificata con la necessità di “cucinare”, come se la manipolazione della droga fosse un’attività quotidiana, quasi domestica.

Le cessioni nella “seconda sala”

L’indagine descrive anche l’esistenza di una “seconda sala” all’interno del locale, un’area appartata dove avvenivano le consegne più riservate. Qui, lontano dagli sguardi dei clienti abituali, si svolgevano le transazioni più delicate, talvolta con incontri fissati persino in altri punti della città, come i parcheggi di catene internazionali di ristorazione, tra cui un McDonald’s citato più volte negli atti.

Il gesto estremo: droga in bocca

Un dettaglio ricorrente nei resoconti investigativi è quello del gesto automatico con cui gli acquirenti, appena ricevuta la dose, la occultavano in bocca. Era una prassi consolidata, un modo rapido per sfuggire a eventuali controlli subito dopo la cessione. Gli agenti hanno documentato numerosi episodi di questo tipo: un riflesso di sopravvivenza che racconta la disperazione e la dipendenza di chi, per non perdere la “merce”, era disposto a inghiottire la prova stessa del reato.

La neonata tra le dosi

Il particolare più sconvolgente dell’intera inchiesta riguarda la presenza di una neonata nel locale. La figlia della coppia al centro del sistema di spaccio era “sempre presente” — come annotano gli investigatori — mentre i genitori gestivano le cessioni di stupefacenti. In uno degli episodi più emblematici, la madre entra nel bar tenendo la piccola in braccio pochi istanti prima di consegnare una dose a un acquirente. In altri casi, la bambina era nel passeggino accanto al bancone, mentre intorno a lei si consumavano scambi e occultamenti. Una scena di degrado quotidiano che, come sottolinea l’ordinanza, segna il punto più basso di un sistema criminale radicato e indifferente, capace di trasformare un luogo di ristoro in un laboratorio di droga.

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