Dopo vent’anni passati a introdurre gli altri, stavolta è lui a scendere in pista. Paolo Belli ha detto sì alla sfida di Ballando con le Stelle come concorrente e, tra una risata e un passo di danza, confessa che questa esperienza gli ha cambiato la vita. Più magro di dieci chili, più leggero nell’anima e più innamorato che mai della sua famiglia, il cantante e conduttore si racconta con ironia, tenerezza e quella schiettezza emiliana nell’intervista a Leggo.
Come sta andando Ballando?
«Quando Milly Carlucci mi ha chiesto di ballare, credevo fosse uno scherzo. Mi guardavo intorno per capire dov’erano le telecamere di Scherzi a parte. Poi ho capito che era seria. E lì ho provato un misto di paura e riconoscenza: paura perché l’ultima volta che ho ballato ero piccolo piccolo, riconoscenza perché Milly, dopo vent’anni, ha capito che avevo bisogno di rimettermi in gioco. Mi ha fatto un dono enorme. All’inizio ero rigido, trattenuto. Poi ho cominciato a sentirmi libero, come se mi stessi togliendo vent’anni di dosso. Ho perso dieci chili in tre settimane e non me ne sono nemmeno accorto. Nessuna dieta, solo prove, risate e la paura di sbagliare. Ma anche quella, alla fine, è diventata energia».
Venti anni di Ballando, quale concorrente o personaggio ricordi con più affetto?
«In vent’anni di Ballando con le Stelle ho collezionato una valanga di ricordi, davvero. Sicuramente Fabrizio Frizzi. Per me è stato un maestro, un fratello maggiore. Viveva il lavoro con lo stesso spirito con cui lo vivo io: semplicità, onestà, passione pura. Era uno di quelli con cui potevi davvero confrontarti, e ogni volta che avevo un dubbio importante andavo da lui. Ascoltavo i suoi consigli e li custodivo, perché venivano da una persona vera».
Altri momenti da ricordare?
«Ci sono stati momenti incredibili anche dal punto di vista “sportivo”. Quando venne Maradona, per esempio, fu clamoroso. Io avevo amici che avevano giocato con lui nel Napoli, e tutti mi dicevano che Diego era uno che difendeva la squadra a spada tratta. E sai che ti dico? A Ballando era identico: se un giurato criticava troppo un concorrente, lui si alzava in piedi e lo difendeva. Era proprio fatto così, un uomo leale, con un cuore immenso. E certo, essendo juventino sfegatato, non posso dimenticare quando venne Del Piero come “ballerino per una notte”. Lì ho perso ogni aplomb (ride)».
E tra i volti storici?
«Al di là dei grandi nomi, voglio ricordare anche Caroline (Smith, ndr.), per esempio. Con lei ho un’intesa che va oltre le parole. Ci basta uno sguardo per capirci. In questi anni ci sono state tante situazioni difficili, ma bastava un incrocio di occhi per risolvere tutto, anche senza parlare. Alla prima puntata di quest’anno, quando si è commossa, è stato un momento fortissimo per entrambi. Tanti anni insieme non sono sempre rose e fiori — condividi gioie, ma anche momenti privati, fragilità, confidenze. Ed è questo che crea legami veri».
E la conduttrice.
«Poi, naturalmente, c’è Milly. E lì, che ti devo dire… è una presenza che va oltre il lavoro. Io dico sempre che nella vita ho avuto due fortune immense: mia moglie e Milly Carlucci. Quando ho iniziato, il mio sogno era fare il sabato sera su Rai1. Con Milly ho trovato casa, mi ha dato sempre più spazio, fiducia, ogni anno un po’ di più. È generosa, empatica, rigorosa. Da lei impari solo guardandola lavorare: come parla con tutti, come ascolta, come riesce a tenere insieme duecento persone e farle sentire parte di un’unica squadra».
Insieme a Deanna da 45 anni, quale è il segreto per un amore così duraturo?
«Come tutte le coppie, abbiamo avuto momenti bellissimi e altri più complicati. Ma ci siamo sempre stati, l’uno per l’altra. Ci confidiamo, ci rispettiamo, e nei momenti di difficoltà non serve chiedere: ci si trova accanto. Io dico sempre che se lei non ci fosse, sarebbe come perdere una gamba, e mi piace pensare che anche per lei lei sia lo stesso. Litighiamo, sì, ma le nostre discussioni sono sempre costruttive. Ci fanno crescere. E parliamo tanto, tantissimo. Lei è la mia prima critica: quando Milly mi ha chiesto di partecipare a Ballando, mi ha detto “Te lo meriti, ma ti prego, non farmi vergognare”.
Nel senso: impegnati, preparati, studia. Dopo la prima puntata, quando finalmente ci hanno restituito i telefoni, l’ho chiamata. E lei mi ha detto: “Sono orgogliosa di te”. Mi si è sciolto il cuore».
Sei anche nonno di due bambini. Che tipo di nonno sei?
«Essere nonno è la mia seconda giovinezza. Io gioco più dei miei nipoti, corro, mi travesto… sono rimasto un Peter Pan. Mia nuora, che è bielorussa come mio figllio Vladik, mi dice sempre: “Voi nonni italiani siete tutti matti!”. Forse ha ragione. Da piccolo ero poverissimo. Avevo i buchi nelle scarpe e cercavo di camminare piano perché nessuno se ne accorgesse. Ora, se posso fare un regalo ai miei nipoti, lo faccio volentieri. Mio figlio mi rimprovera sempre: “Papà, smettila di viziarli!”, ma qualche regalino di nascosto scappa sempre».
Con tua moglie avete deciso di adottare Vladik nel 1997.
«A un certo punto della mia vita ho scoperto che non potevo avere figli. E pensa: proprio io, che ne avrei voluti dieci! Volevo fare quasi una squadra di calcio. Ho sempre avuto un rapporto bellissimo con mio fratello, che ha due anni meno di me. Oltre che fratelli, siamo amici, complici. E allora mi dicevo: se è così bello avere un fratello, figurati averne tanti. Ma la vita non ti dà sempre tutto. Con mia moglie, allora, abbiamo deciso di adottare. Però prima di fare un passo così grande ci siamo detti: “Vediamo se siamo capaci”. Così abbiamo aderito al progetto Chernobyl, che portava in Italia bambini dalle zone contaminate per alcune settimane. Sapevamo che ci sarebbe stato affidato un bambino, un maschietto, ma non conoscevamo né il nome né il volto. Quando è arrivato il pullman con i cinquanta bambini — 38 maschi e 12 femmine — li abbiamo visti scendere uno a uno. Appena ne ho visto uno, ho detto a mia moglie: “Guarda, chiunque verrà a casa nostra io lo amerò come se fosse mio figlio. Ma ti dico già che per me è quello lì”. Non so spiegarti perché, ma l’ho sentito».
E poi com’è andata?
«Poi ci hanno chiamato nella grande sala dove venivano assegnate le famiglie. E indovina chi ci hanno dato? Proprio lui. Da quel momento è diventato mio figlio. All’inizio comunicavamo con un frasario italiano-russo, con cento frasi tipo: ‘Hai fame?’, ‘Sei stanco?’, ‘Sei felice?’. Ma dopo tre giorni non serviva più: ci capivamo con lo sguardo. Quando dopo tre settimane è dovuto tornare a casa, è stato come se mi avessero strappato un braccio. Un dolore vero, fisico. Sapevo che non lo avrei più rivisto, ma non mi sono arreso».
Cosa ha fatto per ritrovarlo?
«Di tutto: ho trovato un contatto in Bielorussia, ho cercato il suo numero, ho scritto, insistito. Alla fine ce l’ho fatta: è tornato in Italia ogni estate per tre mesi. Poi, finita la scuola, è venuto qui a vivere. E lo dico con orgoglio: i figli non sono questione di sangue, ma d’amore. Se uno sente questo desiderio, non deve pensare a quello che dà, ma a quello che riceve. Perché quello che ti torna indietro è immenso. Lui sa tutto, non gli ho mai nascosto nulla. E dice sempre: “Sono l’uomo più fortunato del mondo, perché ho quattro genitori invece di due”. Io ne rido, ma lo capisco. E ti confesso una cosa: sono felicissimo del nostro rapporto, ma un po’ invidio mia moglie… perché loro due si amano di un amore proprio viscerale».
Torniamo a Ballando: ti senti più a tuo agio come conduttore o come concorrente?
«Tre settimane fa ti avrei detto conduttore, oggi ti dico entrambi. Ballare mi ha liberato, mi ha fatto riscoprire il gusto del rischio e la leggerezza di quando avevo vent’anni. Il prossimo anno Milly mi ha detto che ritorno nella mia comfort zone, come co conduttore, ma mi mancherà un po’ ballare perché vorrei continuare questa crescita di libertà che ti dà la danza».
Chi vince Ballando con le Stelle?
«Milly Carlucci. Perché dopo vent’anni, portare Ballando con le Stelle ancora sopra il 25% di share è un grande risultato. Lei ha già vinto, insieme a tutta la squadra. Poi, certo, se da 25 passiamo a 28 o 30 non ci sputiamo sopra (ride, ndr.). Ma la cosa più importante è far le cose bene, con rispetto per il pubblico. E dopo vent’anni, se la gente ancora ti vuole bene, vuol dire che hai fatto centro».
Ultimo aggiornamento: sabato 11 ottobre 2025, 05:00
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