Le gemelle e l’atto che le «avvicina» ad Andrea.
A volte — spesso, spessissimo, in realtà quasi sempre — ritornano. Citate, evocate, invidiate, odiate, additate, sospettate (dal grande pubblico degli appassionati del «giallo»). Senza essere state mai indagate, va sottolineato. Sono le «gemelle K», nome collettivo che è ormai quasi un brand. E che si declina in Stefania e Paola Cappa. Una oggi avvocata, l’altra food blogger. Sorelle gemelle, appunto, e cugine di Chiara Poggi. Smaniose d’apparire, diciotto anni fa. Desiderose di scomparire, subito dopo. Ma non c’è verso. È come se quel «pasticciaccio» fotografico che le proiettò dal giorno-uno su tutti i tg le avesse di fatto appiccicate per sempre a quell’omicidio.
La recente richiesta dei finanzieri pavesi di verificare i conti dei Cappa, compresi papà Ermanno, fratello Cesare e mamma Maria Rosa, è solo l’ultimo episodio nel lungo caso Garlasco in cui vengono sfiorati. S’inizia nel 2007, quando il caos post scoperta dell’incidente del fotoritocco, pensato per far passare l’idea di un legame tra le tre che nei fatti non c’è mai stato, inizia ad addensare sulle sorelle la diffidenza collettiva. Che s’alimenta passo dopo passo. Delle parole di Stefania, ad esempio, sentita subito quel pomeriggio: «Premetto che io e mia cugina avevamo un ottimo rapporto. Nell’ultimo mese addirittura ci vedevamo quasi tutti i giorni», riferì ai carabinieri, sempre per accreditare una presunta forte vicinanza con la cugina. E di quelle strane frasi scambiate (e intercettate) in caserma con Alberto Stasi: «Secondo me è una rapina andata a male (…). Ma alle 9 e mezza?», gli domandò facendo riferimento a un orario della morte che sarà accertato solo molto più avanti.
E poi, il mazzo di chiavi di casa Poggi in quei giorni affidato dai genitori di Chiara alla madre delle gemelle. E quella loro bici così simile (ma mai controllata) a quella notata davanti alla villetta dalla testimone Franca Bermani. «Solo mia cognata ha in uso una bici da donna di colore nero con applicate sul parafango posteriore due borse laterali», ricordò Rita Poggi. Ma la carta più gettonata quando si parla di Stefania è di certo la testimonianza (subito ritrattata e quindi ritenuta non credibile) dell’operaio Marco Muschitta, che aveva raccontato agli inquirenti di averla vista mentre in bici s’allontanava dalla zona di via Pascoli con in mano un grosso oggetto, forse un attizzatoio. A cui s’aggancia il racconto del «supertestimone» alle Iene, che a maggio ha dato il via alle perlustrazioni della roggia di Tromello alla ricerca della possibile arma.
C’è infine la fascinazione nella fascinazione: le «gemelle K» e le Bozzole, il santuario travolto dallo scandalo hot dei ricatti sessuali a don Gregorio. E luogo che per tanti, a partire dall’avvocato Lovati, legale di Andrea Sempio, sarebbe centrale per il movente del delitto. Di recente, un fedele ha detto in tv d’aver visto ai tempi le sorelle e l’attuale indagato frequentare il santuario. Finora non c’è mai stata traccia di un legame fra i tre. Ma la richiesta della Gdf, in cui ci sono sia Andrea che le Cappa, è in questo senso una novità. E potrebbe forse aprire nuovi scenari.
Non poteva restare fuori dal chiacchiericcio il padre Ermanno. Avvocato, uomo potente, presente con cinque numeri nella rubrica del cellulare di Chiara, è protagonista delle più svariate voci, tanto da (ri)attirare, diciotto anni dopo, anche l’attenzione del «re dei paparazzi», Fabrizio Corona.
11 ottobre 2025
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