In questo lungo attraversamento dei territori dell’immagine, un viaggio che mi ha condotta a percorrere l’Italia per ascoltare la voce di molte persone, non poteva mancare l’incontro con Marianna Aprile: una delle giornaliste italiane che, con grazia e grande misura, riesce a raccontare il nostro tempo senza mai alzare la voce, con un’intelligenza sottile e penetrante.
Riflessioni sull’epoca delle immagini con la giornalista Marianna Aprile
L’ho incontrata a Roma, negli spazi suggestivi della Galleria Z2o. Le riflessioni da cui ha preso avvio la nostra conversazione riguardano il tempo storico che abitiamo: un’epoca segnata dalla sovrabbondanza visiva, in cui le immagini hanno assunto una forza narrativa capace di oltrepassare la parola.
Da qui la domanda: può il giornalismo sopravvivere a questo dominio della visione? E, soprattutto, come continuare a esercitare un pensiero critico in un sistema dell’informazione così profondamente mutato?
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Il giornalista deve tornare a verificare i fatti
Aprile osserva che, proprio perché viviamo nell’epoca dell’intelligenza artificiale, vale a dire un tempo in cui le notizie possono essere facilmente falsificate e la prova video-fotografica ha perso la sua presunta infallibilità, diventa ancora più urgente esercitare una lettura critica e assumersi, come giornalisti, una responsabilità più alta.
Il giornalista deve tornare a essere la figura incaricata di verificare i fatti, di custodire la verità delle notizie, in un mondo in cui la verità stessa rischia di dissolversi nella finzione di immagini manipolate. È stata la politica a rivelarci quanto le immagini siano diventate centrali nel sostenere la costruzione di un racconto. Se un tempo la fotografia serviva a documentare i fatti di cronaca, oggi essa è divenuta imprescindibile anche per raccontare la politica, nel momento in cui i politici si sono trasformati in personaggi, in figure da narrare visivamente.
L’immagine non è più soltanto un corredo del discorso politico, ma ne è parte integrante, ne determina i ritmi, i toni, e gioca un ruolo fondamentale nella percezione collettiva.
Immagine, politica e attrazione
Un esempio emblematico è quello di Trump e dell’immagine, ormai iconica, scattata dal premio Pulitzer Evan Tucci durante l’attentato del 13 luglio 2024: in quell’istante congelato, l’uomo ferito è divenuto eroe, il gesto politico si è fatto gesto teatrale, e la cronaca si è trasformata in una potente narrazione politica.
Altra questione importante riguarda il clickbait, il modo in cui vengono scritti titoli di articoli usando frasi fuorvianti, allarmanti o volutamente ambigue, che “adescano” il lettore, spingendolo a cliccare su contenuti che spesso non mantengono ciò che promettono. È una strategia che nasce dall’economia dell’attenzione, in cui la curiosità vale più del racconto della verità.
Le parole di Marianna Aprile ci riportano al cuore del problema: in un sistema dominato dall’immagine e dalla competizione per l’attenzione, la questione non è più soltanto che cosa raccontiamo, ma come costruiamo il racconto avendo come unico obiettivo la verità.
Silvia Camporesi
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