La prima stagione tra gli under 23 di Lorenzo Mark Finn si è conclusa sulle strade del Gran Piemonte giovedì 9 ottobre scorso. Trentotto giorni di corsa conditi da tre vittorie, tra le quali spicca il bis iridato di Kigali. Uno dei prospetti di maggior talento del movimento italiano ha terminato la sua prima stagione con la Red Bull-BORA-Hansgrohe, e noi non vediamo l’ora che inizi la prossima per vedere quanto ancora potrà crescere il giovane ligure.
Il suo talento è esploso quando è entrato nella categoria juniores, prima con il CPS Professional Team, poi con la Grenke-Auto Eder. E’ stato il primo azzurro a lasciare l’Italia per correre all’estero, seguendo il programma della formazione juniores tedesca. Infine entrando nel devo team Red Bull.


Racchetta e pallone
La storia sportiva di Lorenzo Finn non parte subito con la bicicletta, ma nasce con due sport totalmente differenti: tennis e calcio.
«Ho iniziato a giocare a questi due sport fin da piccolo, non ricordo l’età esatta ma avrò avuto cinque o sei anni – racconta Finn – e ho continuato fino ai dodici. La scelta di giocare a calcio direi che arriva dal fatto che in Italia sia lo sport nazionale, quindi per un bambino è più facile guardare in quella direzione. Mentre il tennis non ricordo esattamente se fosse una passione mia o se volessi provare per curiosità. Poi mio padre ha sempre giocato a calcio, per cui guardandolo mi sono avvicinato a questo sport».


Il ciclismo com’è arrivato?
La bici è arrivata perché ho avuto un po’ di problemi al ginocchio, durante l’età della crescita ho sofferto del morbo di Osgood-Schlatter. Non riuscivo a correre bene a causa del dolore, mentre andando in bici non avevo alcun tipo di problema. A parte che andavo già in bicicletta, sempre insieme a mio padre.
Senza il pensiero di gareggiare?
No, facevamo qualche giro il sabato o la domenica e passavamo il tempo insieme. Visto il problema al ginocchio ho voluto provare questo nuovo sport e me ne sono innamorato subito.
Quale era la cosa che ti piaceva di più nel pedalare con tuo padre?
Stare all’aria aperta, fare le strade dove non c’era traffico. Mi ha sempre affascinato la fatica della salita, comunque la solitudine che si prova in quei momenti è qualcosa di piacevole. Quella sensazione di smarrimento, sei lì con te stesso e pensi. Una volta che la provi la capisci subito.




Sei arrivato subito alla bici da strada?
Ho iniziato al Bici Camogli, dove facevano principalmente mountain bike e ho provato a fare qualche giretto ma non mi è piaciuto molto.
Una volta al Bici Camogli cosa ti ha conquistato?
Pian piano ho conosciuto tutto il mondo delle gare. Seguivo già il Tour de France, comunque sapevo delle grandi corse, però ho scoperto i vari ambienti del ciclismo. Nelle prime gare ho iniziato a interessarmi anche un po’ della preparazione e dei vari impegni che richiede la bicicletta.
Ti è piaciuta questa parte analitica?
Da subito mi sono interessato all’ambito tecnico e scientifico. Non i primi anni, lì mi allenavo con il gruppo del Bici Camogli senza guardare a questi aspetti.


Cosa ricordi di quegli anni?
Ci trovavamo a Uscia, un paese vicino a casa mia, facevamo un giro e il nostro allenatore ci seguiva nel furgoncino e ci allenavamo un po’ a sentimento. Ci divertivamo sui percorsi che trovavamo e magari facevamo qualche gara sulle salite.
Hai sempre avuto questo aspetto della competizione?
Mi è sempre piaciuta. All’inizio non ero troppo agguerrito, però con gli anni si è sempre più sviluppato. Sì, alla fine è venuta col tempo. Mi è sempre piaciuta la sfida nel mostrare il meglio che si è in grado di fare. Tirare fuori il massimo da sé stessi e dal proprio fisico, capire dove si può arrivare lavorando al massimo.
La voglia di provare a vincere quando è arrivata?
Da allievo, quando ho iniziato a prendere il ciclismo più seriamente. Con il tempo è arrivato anche questa sensazione.


Ti ricordi la prima volta che l’hai provata?
Con la prima vittoria in Toscana. E’ stata veramente una bella giornata, inaspettata. Ero un po’ sotto shock, però da quel momento ho sbloccato il concetto di voler vincere.
Sul passaggio alla categoria juniores?
Vedendo come si stava evolvendo il ciclismo moderno ho capito subito quanto fosse importante, che era giunto il momento di fare le cose seriamente. Anche con la scuola e la difficoltà dello studio era comunque fondamentale mantenere la concentrazione al 100 per cento su questi due aspetti.
Nel frattempo hai studiato al liceo scientifico?
Sì, quando ho scelto l’indirizzo di studio in terza media non sapevo che poi la mia vita sarebbe andata in questa direzione. A livello accademico volevo fare un percorso che mi permettesse di crescere e svilupparmi al meglio.


Dall’esterno traspare questo tua parte analitica…
Sì è parte della mia natura, quindi anche a livello scolastico mi sono sentito più incline alle materie scientifiche.
In bici emerge una parte meno razionale?
Quando pedalo i pensieri sono più sciolti, la mente è libera di svagare e a volte non sempre in maniera positiva. Sono ragionamenti tra alti e bassi, magari a volte mi fermo a pensare ai pericoli della strada o a varie vicissitudini.
Hai qualche percorso che preferisci?
Sì, vicino a casa c’è una bella salita che è quella del Monte Cornua. E’ una salita che mi è sempre piaciuta, sia per i ricordi del passato visto che la facevo anche con mio padre, ma anche a livello tecnico, è esigente ma una volta che arrivi in cima hai una vista su Recco e Sauri molto bella.


Ti alleni solo o in compagnia?
Spesso da solo, però anche in compagnia non mi dispiace ma dipende dai lavori che ci sono da fare.
Giornata lenta e tranquilla o ad alta intensità?
Un allenamento ad alta intensità se sto bene, passa più in fretta.
Quando torni dagli allenamenti sei uno che ama cucinare o mangi la prima cosa che capita?
Se l’uscita è stata intensa e lunga mangio quello che trovo, altrimenti mi piace mettermi ai fornelli per fare qualcosa di più elaborato. Due dei miei piatti forti sono la pasta con zucchine e tonno e il risotto con i funghi.


Una volta messa la bici nel box come passi il tempo?
Mi piace viaggiare, anche se non ho avuto ancora molto tempo per farlo. Però vorrei visitare l’America o l’Asia, insomma uscire dall’Europa e vedere il mondo.
Viaggio preferito fino ad ora?
Ho un bel ricordo di alcune vacanze fatte insieme ai miei genitori e un’altra famiglia di amici quando avevo tra gli otto e gli undici anni. Siamo andati per diversi anni in giro per l’Europa e abbiamo visitato tanti posti in bici: Olanda, Spagna, Austria. Ho un ricordo piacevole di quel periodo e dei posti visitati.
Quando sei a casa?
Generalmente guardo film, serie su Netflix, ascolto podcast e inizio anche a interessarmi di politica e attualità.


Cosa guardi?
Film un po’ di tutto. Mentre tra mie serie preferite c’è The Office e Breaking Bad. La prima è comica e mi piace il senso dell’umorismo che c’è.
Personaggio preferito di The Office?
Dwight (interpretato dall’attore Rainn Wilson, ndr) per il taglio comico.
Quali podcast ascolti?
Quello di Geraint Tomas insieme al Luke Rowe mi piace molto (Watts Occurring, ndr). Parlano di cose molto interessanti, di com’è cambiato il ciclismo e toccano aspetti che mi piacciono. E’ bello sentire le differenze e gli aspetti che sono cambiati nel tempo.


Ti piace anche leggere?
Preferisco guardare, sono un po’ pigro fuori dalla bicicletta. Però dovrei riprendere a leggere qualche libro.
Hai mai pensato di continuare gli studi?
Non ancora, la scuola è finita da poco e non ho avuto tempo di rifletterci. Però è anche una cosa che si può fare in futuro. Mi piacerebbe imparare qualche lingua nuova come il francese, l’ho studiato alle medie e sarebbe bello riprenderlo.
Come vivi tutta questa attenzione mediatica nei tuoi confronti?
Il rischio è che sia impegnativo, per fortuna c’è la squadra che mi dà una mano a gestire il tutto. Se non è ogni giorno, mi piace come aspetto, soprattutto quando magari mi fanno delle domande diverse da solito.
Ora riposo meritato?
Abbiamo ancora un incontro a Salisburgo, quello classico senza le bici. Poi un po’ di meritato riposo.