L’ex ct a Trento: “Con Bearzot inizio turbolento, con la Samp ho vinto quasi tutto. Moratti all’Inter comprava ottimi calciatori, in Turchia tifosi super. Sulla panchina azzurra periodo bellissimo. La fine? Anche colpa mia. Dopo Spalletti ci speravo, ma Rino ci porterà ai Mondiali”
Dal nostro inviato Simone Battaggia
11 ottobre 2025 (modifica alle 15:18) – TRENTO
Roberto Mancini e i suoi dieci colpi di tacco. Il racconto di questa icona del calcio italiano incanta il Teatro Sociale, tra colpi di tacco veri – quello per il gol della Lazio contro il Parma apre il talk – e colpi di genio: “Quel colpo di tacco venne istintivo – racconta -. Il merito fu di Sinisa, perché metteva dei calci d’angolo non male, bastava solo toccare la palla. Io misi solo il piede”.
l’inizio—
Si parte dall’inizio della carriera da calciatore. Da Jesi, da quel giorno in cui a 13 anni disse a mamma Marianna che se ne sarebbe andato. “Rischiò mio papà in realtà, perché disse alla mamma che se mi fosse successo qualcosa lo avrebbe ammazzato – sorride -. Era il 1978, spostarsi da Jesi a Bologna era come andare da Roma a New York, non fu facile per i miei come per me. All’inizio soffrii la mancanza della famiglia, e ora che ho la fortuna di avere ancora i genitori e la possibilità di tornarci, lo faccio volentieri”. Poi i 15 anni con la Sampdoria, con lo scudetto: “Negli Anni Ottanta-Novanta la Samp aveva 45 anni, non era una squadra così vecchia. Aver vinto quasi tutto è stato una gioia immensa per i sampdoriani. Oggi non succede di stare 15 anni, anzi il problema è che non ci sono proprio italiani nelle squadre. Si era creata una chimica, e poi c’era un presidente come Paolo Mantovani e un diesse come Paolo Borea”. Arriva in Teatro la telefonata di Gianluca Pagliuca. “Mancio era un grande giocatore e aveva già occhio da grande allenatore, si vedeva che era predisposto. Ogni tanto mi arrabbiavo, quando mi faceva gli scavini sui rigori in allenamento, ma è stata una storia bellissima”. Prosegue Mancini: “Una chimica come quella alla Samp non c’è stata in alcuna squadra”.
l’azzurro—
Si parla dell’esperienza con la Nazionale da giocatore, 1984-1994: “L’inizio fu molto turbolento. Era il mio debutto in Nazionale, con Bearzot e i reduci del titolo 1982, che per me è stata la più grande nazionale di sempre. Tournée tra Canada e Usa, ultima notte a New York, uscimmo e tornammo tardi, Bearzot ci rimproverò. Tornammo alle 6.30 del mattino, alle 9 partivamo. Era preoccupato, avevo 19 anni, aveva lui la responsabilità. Eravamo in tanti però, ma non faccio nomi: c’erano Tardelli, Cabrini…”. Poi ci fu l’Europeo 1988, che Mancini rischiò di saltare per via di alcune dichiarazioni sugli arbitri. “Con gli arbitri ho avuto un buon rapporto, sono stato espulso poche volte. Quelle frasi? Stupidaggini che si dicono”. Mancini visse in panchina Italia 90. “Eravamo io, Luca, Baggio, Serena, Carnevale, Schillaci. Per Vicini non era facile sceglierne due”.
l’inizio da tecnico—
Mancini racconta il primo incontro con Moratti per diventare allenatore dell’Inter, che fu in un ristorante di Tortona, fuori dall’autostrada. Ha vinto lo scudetto e piantato il seme del Triplete: “Merito soprattutto di Moratti, comprava dei giocatori molto bravi. Se hai giocatori hai più possibilità, così siamo riusciti a tornare a vincere”. Fino a quando arrivò l’annuncio del suo addio, inaspettato, in una conferenza stampa: disse “Io l’anno prossimo non sarò più l’allenatore dell’Inter” quando aveva quattro anni di contratto ancora. “Forse si poteva anche tornare indietro. Avrei potuto anche non esternare quelle dichiarazioni, ma un motivo c’era, forse qualche giocatore che aveva problemi fisici e che non sarei riuscito a recuperare. Problemi interni”.
all’estero—
Mancini ha vinto lo scudetto al Manchester City dopo tanti anni che il club non lo otteneva, con la famosa vittoria in rimonta contro il Queen’s Park Rangers. “Dopo una stagione pazzesca, lottavamo con lo United per il titolo, punto a punto. Stavo quasi per morire. Eravamo andati sotto di 8 punti, recuperiamo tutto, e all’ultima giornata, contro una squadra che lottava per non retrocedere, ci fece trovare in quella situazione pazzesca”. La Russia? “Esperienza non semplice, importante sul piano personale. Qualcosa mi ha cambiato. La Turchia? Posto meraviglioso, a Istanbul sembra di essere a Napoli, la gente è fantastica. Andavamo a giocare in Norvegia e c’erano 20mila turchi, hanno un attaccamento alla squadra folle”.
l’italia—
“Accettarla fu facile, la Nazionale è un sogno per ogni allenatore. È stata l’esperienza più bella e più importante. Sono riuscito a dare il massimo e insieme abbiamo fatto qualcosa di impossibile, ma con merito”. Undici vittorie di fila, 37 partite senza perdere: “Sì, un po’ ci sentivamo imbattibili. Chiudemmo a San Siro contro la Spagna in Nations League perché Bonucci dopo un quarto d’ora si fece espellere, altrimenti magari saremmo pure andati avanti con la striscia”. Interviene Gabriele Oriali, allora team manager azzurro: “Bei ricordi, l’Europeo 2021. Ho contribuito un po’ anch’io, come Gianluca Vialli. La gente era disamorata, ma Roberto ha cambiato le cose, ha dato fiducia ai ragazzi creando un gruppo vero, fatto di gioco e di rispetto. Ha ridato orgoglio a una nazione intera. Ci ha fatto sognare, cantare, piangere. Fu magistrale, per l’intelligenza tattica e per l’empatia che creò nel gruppo”. Mancini affronta anche il distacco con la Nazionale. “Era un momento di ricambio. Ci furono un po’ di parole, di incomprensioni, e forse sarebbe stato meglio chiarirle, da parte mia in primis. Spiegare cosa non mi era piaciuto, dire tutto e ripartire da zero. Non venne fatto, e così si fanno le scelte sbagliate. Sì, ho sperato di essere il successore di Spalletti, ma sapevo che era difficile. Il sogno di vincere il Mondiale da allenatore resta, ma poi le cose cambiano. Questa è una buona Nazionale. Rino Gattuso mi sta simpaticissimo come persona e spero che abbia successo con l’Italia. E al Mondiale ci andiamo, sì”.
il fiuto—
E poi c’è una caratteristica nota di Mancini, la capacità di vedere il talento. “Vedere i giocatori prima degli altri mi capitava anche da giocatori, vidi prima Zidane che volevo portare alla Samp, vidi anche Cristiano Ronaldo. Ho visto tantissime partite, un po’ di occhio l’avevo. Pafundi? Fu una provocazione, ma un giocatore di 18 anni così talentuoso perché non giocava in Serie A”.
gli amici persi—
Il pensiero va a Vialli, a Mihajlovic, a Eriksson, amici che se ne sono andati recentemente. “Non è facile, pensi che Luca sia sempre a Londra, Sinisa a Roma, Eriksson a casa sua. Sì, si pensa al fatto che si poteva essere più vicini. E credo di avere dentro nemmeno la metà della forza che hanno avuto loro”.
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