L’azzurra si racconta a Sportweek: “Mi piacerebbe creare una collezione, sfrutterei il mio lato creativo. La moda mi è sempre piaciuta, è una passione che mi ha trasmesso mia mamma Fiona. Alla delusione ai Mondiali ho reagito da persona matura, sono contenta di me. Il meglio deve ancora venire”

Luca Castaldini

11 ottobre 2025 (modifica alle 17:49) – MILANO

Per la domanda sull’incazzatura e lo sfogo dei Mondiali (“Sono sotto shock, vivo in un incubo”) c’è tempo perché, appena uscita dallo studio per lo shooting moda di queste pagine, Larissa Iapichino è così orgogliosa della sua mattinata da modella che pare brutto rompere l’incantesimo.

“Mi piacerebbe disegnare una mia collezione”. L’hai detto tu, in passato, a Sportweek. Dopo oggi poi…

“Confermo, sfrutterei il mio lato creativo. La moda mi è sempre piaciuta, è una passione che mi ha un po’ trasmesso mia mamma (l’ex campionessa del mondo di salto in lungo, Fiona May; ndr). E poi, pensando al futuro, non voglio chiudermi nessuna porta”.

“L’haute couture mi affascina, ma non ho le competenze, quindi rimarrei nel mio campo, per portare qualcosa di diverso nel mondo dello sport, dove si vedono un po’ sempre le stesse cose…”.

Italy's Larissa Iapichino competes in the Women's Long Jump during the IAAF Diamond League athletics meeting, at the London stadium, in London, on July 19, 2025. (Photo by JUSTIN TALLIS / AFP)

Disegneresti la tua divisa da gara?

“In realtà un paio di suggerimenti li ho dati e sono stati accolti. Uno per il disegno particolare del colletto e l’altro per la schiena, praticamente tutta scoperta. In generale punterei a qualcosa di molto elegante ma semplice, con colori d’impatto però abbinati in modo armonico. Una combo che mi piace è oro e bianco”.

Vabbè, l’oro… Da un’atleta ci sta. Ma quando eri piccola i vestiti li sceglieva mamma o facevi da sola?

“Sono stata abbastanza precoce nel dirle io: andiamo a fare shopping. Volevo sperimentare. C’è stato anche il periodo delle due scarpe diverse o delle pettinature strane. Lei mi lasciava fare. “Se piace a te, mi piace”. E che ridere quando aprivo il suo armadio! Pescavo le scarpe coi tacchi e andavo in giro con ’ste due barche, era molto divertente”.

C’è stato un periodo in cui andavo in giro con due scarpe diverse. Era divertente

Larissa Iapichino

Parlavi di pettinature strane. Tipo?

“Tipo Pucca, la ragazzina del cartone animato giapponese che aveva due piccole crocchie in testa. Me ne ero innamorata. E mamma mi faceva da parrucchiera. Oggi in gara devo limitarmi, se no i capelli vanno a destra e sinistra, punto su pettinature stile ballerina”.

Sei mai stata a una sfilata?

“Mai, ma due volte, a Pitti Bimbo, quindi a casa mia, a Firenze, da piccola sfilai per dei marchi. Esperienza divertente, poi però i miei capirono che non faceva per me, mi divertiva di più passare i pomeriggi con gli amici”.

“Oddio, forse sono troppo bassa…”.

“Comunque sì, l’idea mi stuzzicherebbe molto. A me piace sperimentare, insomma, vediamo se riusciamo a incastrare il tutto coi miei impegni”.

Parlando del gesto del salto, invece: quando eri piccola, aveva già un ruolo importante nella tua vita?

“Sì, e anche in quella del… mobiliere”.

“Mi piaceva fare i salti mortali, all’epoca praticando ginnastica artistica era tutt’un balzo, ruote, capovolte. Peccato che come pedana avessi scelto il letto di mia mamma. Bum, bum, bum. Continuavo a provare acrobazie, rischiando a volta di farmi male. A forza di saltare, quel matrimoniale l’ho spaccato”.

Allora quando, sempre a Sportweek, hai detto che da piccola hai combinato una marea di guai, ci mettiamo anche questo. Un altro ce lo racconti?

“Beh, quello della scivolata. Io e mia sorella Anastasia ci stavamo rincorrendo. Lei davanti e io a seguirla nel corridoio. Ai piedi avevo dei calzini antiscivolo. Hai già capito, vero…? Arrivo lunga, vado a sbattere contro la porta dopo la quale sapevo ci sarebbe stata lei. Paf! Vetro della porta in mille pezzi. ‘Larissa!’, sento ancora l’urlo di mia mamma. Per fortuna Anastasia s’era scansata in tempo”.

Ecco, proprio mamma. Britannica di sangue giamaicano. Tu di giamaicano hai qualcosa?

“Predisposizione per l’atletica a parte, direi la mia tranquillità, anche se certe volte posso apparire un’ansiosa. Sono una che vuole star serena, tranquilla, godersi la vita, e questo sicuramente l’ho preso da quella parte lì della famiglia”.

Larissa in pedana e Larissa nella vita di tutti i giorni sono due persone uguali o diverse?

“Un po’ di mister Hyde c’è. In pedana sono diversa, sono molto cattiva, tutta nervi, nella vita di tutti i giorni non ce la farei, mi stancherei alla svelta di essere così. Fuori mi definirei grintosa, determinata tutt’al più, ma in generale sono dolce. Magari non sembra perché sono una persona molto chiusa, non immediatamente espansiva”.

Prima di (ri)parlare della delusione dei Mondiali di Tokyo, come si sfoga Larissa in momenti come quelli dei Mondiali?

“Sul lungo periodo, preferisco fare una passeggiata, andare a cena fuori è una cosa che adoro”. 

“Qui la faccenda si complica, nel senso che ci può stare l’urlo e il pianto dettati dal nervoso. Il punto è che, senti eh, mi innervosisce essere nervosa e quindi mi viene da piangere, capito? E comunque sfoghi di questo tipo me li tengo per il privato, non esiste che mi faccia vedere urlare”.

E invece quando e dopo quanto ti rendi conto di aver combinato qualcosa di grande in pedana?

“Negli ultimi anni, me ne rende conto subito, però il giorno dopo penso già alla sfida successiva. Non che non rimanga contenta (anche a lungo) per una grande soddisfazione, ma poi mi setto subito per il prossimo obiettivo, nella mia testa so benissimo che si cancella tutto”.

Hai lavorato con un mental coach. Un ragionamento come questo è anche frutto del suo lavoro?

“È un po’ una cosa mia. Anche a scuola era così: per esempio, se prendevo 9 in un compito in classe, pur sapendo quanto me lo fossi sudato, pensavo: l’anno scolastico è lungo, la media va tenuta, devo impegnarmi allo stesso modo per il prossimo”.

Dopo le Superiori ti sei iscritta a Giurisprudenza. Che avvocato Larissa dobbiamo aspettarci?

“All’inizio volevo essere un avvocato come mio zio Alex, ma dopo essere entrata nel suo campo, dando l’esame di Diritto commerciale ho pensato: ok, grazie, l’ho fatto, ma non fa per me”.

“Non so ancora in che cosa mi vorrò specializzare, ma sicuramente vorrò essere un professionista pronto a mettere nelle migliori condizioni possibili il mio assistito, mi affascina soprattutto la parte di ricerca, cioè di trovare il cavillo, di trovare la situazione su cui poi dibattere”.

Ma da piccola volevi fare proprio l’avvocato?

“A 4 anni, sì. E anche l’astronauta, come tanti altri bambini ero affascinata dall’idea di andare nello spazio, mi ero lasciata ispirare dalle enciclopedie, dagli astri. Ero (e sono) una sognatrice. Pensa, a un certo punto, dopo, mi sarebbe piaciuta diventare il presidente degli Stati Uniti”.

Peccato tu non sia americana e quindi ti sia impedito… Ma eccoci a Tokyo. Qualificazione mancata, parole forti, lo shock, l’incubo. Oggi, più a freddo, cosa pensi di quanto è successo?

“Che il mio rapporto con la sconfitta è cambiato radicalmente ed è molto più maturo. Una gara così non fa piacere a nessuno, dopo un anno bellissimo e dopo aver dato tutto per quell’obiettivo, arrivi lì e va male: è normale dire parole simili, a caldo. Ma alla sera già le cose erano cambiate”.

“Lontana dallo stadio, mi sono presa un tempo per me e ho iniziato a dire: “Ormai cosa posso farci? Niente”. È andata. Quindi cosa posso estrapolare da questa esperienza negativa? Qualcosa che si trasformi in positivo. Trascinarmi nel ricordo di quella gara mi avrebbe appesantita e basta”.

Atteggiamento da persona matura.

“È morto qualcuno?, mi sono detta. No. E poi ho capito che le sconfitte solitamente insegnano più delle vittorie, quindi ok, è successo e vado avanti. Oggi posso dire che sono contenta di come ho reagito. Di batoste ce ne saranno ancora, però bisogna essere sempre bravi a non perdere la tua stella polare”.

Da un incubo all’altro: c’è un brutto sogno ricorrente ambientato nel salto?

“Sì, ma più che quello classico dell’arrivare tardi a una gara (un paio di volte mi è successo per davvero), c’è quello di essere nel posto giusto, di vedere già sul tabellone elettronico il nome Iapichino e però di aver dimenticato le scarpe, le cerco, le cerco ma non le trovo. Panico”.

Larissa, c’è una frase che più di altre riesce a ispirarti?

“Certo: il meglio deve ancora venire”.