Al Brolo di Mogliano Veneto ha luogo, fino al prossimo 9 novembre, la mostra documentaria Verso la gloria. Giuseppe Berto, uno scrittore e il suo archivio, ben curata da Matteo Giancotti e Giuseppe Lippi. L’esposizione si svolge nel paese natale di Berto, tagliato in due dal Terraglio, lunga arteria stradale che collega Treviso e Mestre. A Mogliano Veneto, idealmente associata al tardo buen retiro di Capo Vaticano, in Calabria, sono ambientate alcune narrazioni di Berto di taglio autobiografico. Con il passare del tempo la sua figura, penalizzata da un retaggio ideologico non di rado manovrato ad arte dai suoi detrattori, ha acquisito uno spessore sempre più rilevante, essendo riconosciuta come quella di un indiscusso maestro. È d’altronde significativo che le edizioni Neri Pozza abbiano intrapreso, da qualche anno a questa parte, la ristampa sistematica delle sue opere, spesso integrandola con nuove curatele.
La mostra propone una scelta delle carte appartenute al narratore, acquistate dall’Associazione Giuseppe Berto e conservate in comodato d’uso presso l’Archivio Scrittori Veneti «Cesare De Michelis», nel Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari (DiSLL) dell’Università di Padova, che ha provveduto a digitalizzare il corpus completo dei documenti. Si ha così l’opportunità di vedere da vicino edizioni originali, taccuini, manoscritti, lettere, fotografie, manifesti di pellicole tratte dai suoi romanzi o da lui sceneggiate, che costituiscono un inimitabile viatico per indagare la sua opera multiforme.
Si passa dal dattiloscritto originale del Male oscuro, considerato il suo capolavoro, che doveva avvalersi di una prefazione di Gadda, mai completata (il titolo è tratto da un passo della Cognizione del dolore, opportunamente riportato in esergo al romanzo), all’invito di Alberto Mondadori a pubblicare con la casa editrice di Segrate dopo il promettente esordio longanesiano del Cielo è rosso, peraltro già proposto allo stesso Mondadori e Garzanti. Esposte anche le due agendine africane, oltre al manoscritto di Guerra in camicia nera, presentato con il titolo La ragazza vestita di celeste e un progetto di copertina associato a Bompiani anziché a Garzanti (che stamperà il libro nel 1955).
Berto approda alla Mondadori soltanto nel ’78, poco prima di morire, licenziando uno dei suoi romanzi più riusciti, La gloria. Bisogna isolare dal contesto una lettera del 16 luglio 1963 di Luciano Bianciardi, all’epoca consulente di Rizzoli, il quale si adopera con Domenico Porzio, direttore della collana «La Scala», al fine di risolvere pendenze economiche legate presumibilmente all’anticipo per Il male oscuro. L’autore della Vita agra, con la consueta ironia, precisa a proposito del direttore editoriale Nicola Carraro, restìo a pubblicare titoli rifiutati dalla Mondadori: «Due anni fa ti avrebbe offerto premi d’ingaggio come se tu fossi Altafini». Molto articolate furono infatti le vicissitudini legate al contratto stipulato per Il male oscuro, tanto che lo stesso Carraro scrisse a Berto qualche mese dopo: «Se il varo di ogni romanzo dovesse presentare le difficoltà proposte dal Suo, davvero dovremmo smettere di fare gli editori». Il libro, uscito nel 1964 con copertina realizzata da Mario Dagrada rappresentante uno stilizzato labirinto che richiama la «nevrosi da angoscia» quivi affrontata, si aggiudicò a sorpresa il Viareggio e il Campiello.
Il bel catalogo eponimo (Amos Edizioni, pp. 280, € 35,00) contiene, oltre a un ricco apparato iconografico, una serie di contributi critici mirati a investigare gli aspetti essenziali dell’opera di Berto, oltre al testo inedito Il luogo. Il saggio di Matteo Giancotti ricostruisce adeguatamente il tormentato rapporto con gli editori, vissuto all’insegna dell’«instabilità». Un esempio è rappresentato da Il cielo è rosso, il cui titolo fu deciso da Leo Longanesi al posto di La perduta gente, ricavato da un celebre verso dell’Inferno dantesco, con la variabile I peccati di Dio. L’editore consigliò alcuni tagli, accolti solo in parte. Fu d’altronde Comisso a caldeggiare la pubblicazione del libro d’esordio presso Henry Furst e il succitato Longanesi, seguito un decennio più tardi da Parise che, in una rapsodica lettera, blandì Berto dopo la parentesi, non felicissima, del romanzo Il brigante, uscito per Einaudi nel 1951. La strategia ottenne, grazie anche all’operato di Mario Monti, il provvisorio ritorno del figliol prodigo alla Longanesi, ormai orfana del suo fondatore, con la riproposta dello stesso Brigante (1961) e la pubblicazione della raccolta di racconti Un po’ di successo (1963). Qui campeggia in copertina un ritratto fotografico dell’autore con barba alla Hemingway rilevata in oro su fondo bianco e nero.
Domenico Scarpa esamina (nel catalogo) il periodo trascorso da Berto nel campo di prigionia di Hereford, in Texas, in compagnia di Alberto Burri e Gaetano Tumiati, considerato da Cesare De Michelis «il tempo sospeso in cui scoprire una vocazione». In aggiunta ai saggi di Diego Bottacin, Saverio Vita e Paola Culicelli, bisogna infine segnalare, in calce al volume, l’Album Giuseppe Berto con la riproduzione di alcuni preziosi documenti: dagli articoli concernenti collaborazioni giornalistiche o recensioni ai suoi libri alle svariate missive del «fratello di nevrosi» Andrea Zanzotto alle prese di posizione contro Moravia, accusato di essere «uno scadente narratore», oltreché malato di «egocentrismo».