Non si allarmi lo studente universitario: il libro di Lorenzo Renzi – già docente di filologia romanza a Padova – La strada di Malo Opera e vita di Luigi Meneghello (Carocci editore «Lingue e letterature», pp. 250, € 27,00) non è un manuale. O meglio: lo è, quasi. Avverbio, questo, caro all’autore («Tutto Meneghello, o quasi» si intitola il primo paragrafo), di cui andrà ovviamente escluso ogni utilizzo in senso limitante: a emergere è un ritratto di Meneghello complesso, vivace, e i saggi di Renzi ne illuminano l’opera rifiutando l’approccio nozionistico (lo studente di cui sopra non troverà alcun temibile elenco di «date e dati»), preferendo approntare una serie suggestiva di itinerari nei romanzi, nelle carte, nella lingua…
«Ci sono due strati nella personalità di un uomo», si legge in Libera nos a malo (con la m minuscola, chiarisce Renzi: Meneghello «si è premurato giustamente che non si intendesse in nessun modo che ci si auguri di liberarsi di Malo, il paese natio»), e così anche questo volume si compone di due parti, di cui la prima offre «un completamento biografico» e un quadro dello stile, per cui l’opera è guardata «da una certa distanza», mentre nella seconda Renzi dice del proprio rapporto con il dialetto e della sua esperienza di lettore. Tuttavia, anche l’analisi frontale e più corposa riflette la passione, raccontata negli ultimi capitoli, per la scrittura dell’autore vicentino – di cui lo studioso condivide alcuni «tic»: nota che è «sorprendente quanto spesso Meneghello nasconda delle citazioni in una scrittura apparentemente piana», ma al lettore di poesia non sfugge la definizione che Renzi dà di Malo, «verde paradiso degli amori infantili», con recupero, non dichiarato, di un verso di Baudelaire.
Nelle pagine dedicate alla biografia e all’analisi dello stile, Renzi sembra far propria anche la «tecnica “dello scorcio”» dello scrittore: la formazione di Meneghello è ripercorsa, ad esempio, osservando il suo curriculum universitario, segnato da una serie impressionante di trenta e lode troncata dal ventidue del «terribile professore Roberto Cessi» all’esame di Storia moderna, mentre si interroga, per quanto riguarda le opere, specialmente sugli incipit. Memorabile ma di fatto insondato, proprio quello di Libera nos a malo («S’incomincia con un temporale»), di cui Renzi propone una suggestiva lettura attraverso Proust attribuendo alla tempesta una funzione simile all’effetto-madeleine della Recherche (non manca poi il rilievo delle «somiglianze intersemiotiche» tra lo stile narrativo di Meneghello e le arti pittoriche, in particolare la tecnica compositiva di Guernica).
Lo scorcio, da intendere come affondo in profondità, in cui la pagina scelta diventa esemplare del carattere di un libro, si fa ampio panorama nei capitoli dedicati alla lingua di Meneghello e ai continui «trasporti», come li chiamava lui, dal dialetto. Con le armi della linguistica – ambito in cui Renzi è autorità indiscussa – ne studia gli aspetti idiomatici, il lessico, la morfologia; attraverso le citazioni, ripercorre alcuni luoghi indimenticabili della scrittura di Meneghello (difficile trattenere il sorriso di fronte a certi casi di misunderstanding, come «“Vibralani! Mane al petto»”, per “vibra l’anima nel petto”», o di errata separazione delle parole: «“A lòn zanfàn!” per allons enfants»).
Viene in mente, a tal proposito, la bella pagina del romanzo del 1963 che descrive «maggio in orto»: «virgulti, germogli, foglie tenere, e bai dappertutto, in aria in terra sulle foglie. (…) è tutto fatto a bai il mondo, bai-bimbissoli, bai-lumèghe, bai-sórze, bai-càn, bai-òmini, bai-angeli che zòla come questo bao. Zòla via bao!». Scrivendo a «Gigi», Neri Pozza l’ha definita una «autentica poesia», sostenendo gli avesse dato «un vero stato di esaltazione»; la lettera figura tra gli inediti presentati e commentati da Filippo Cerantola, a cui va il merito di aver raccolto «il più ricco e vario epistolario di Meneghello» (Dear Gigi, Apogeo, 2023) e che impreziosisce questo volume di documenti, fra gli altri, di Primo Levi ed Ettore Gallo.
«La parola del dialetto è sempre incavicchiata alla realtà, perché è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ragionare», si legge ancora in Libera nos. Il parlante veneto riconosce l’effetto di incantesimo che questa lingua riflette sul suo mondo, annullando la distanza tra le parole e le cose: non «insetto» ma «bao», non «ape» ma «ava: una giuggiola che si muove, una strega striata (…); un bao che non è un bao, un segreto che non si può penetrare (…), una goccia gialla che punge. (…) Non giocare con la Ava. Viene dalla zona dei noumeni». La presunta parzialità o marginalità del dialetto è allora rovesciata da Meneghello, che in modo non dissimile pensa a Malo come a uno «tra i luoghi meno provinciali del mondo». Così anche Renzi, in una delle ultime pagine del volume, racconta come, ragazzo, pensasse di esser nato «in un posto provinciale, dal quale la cosa migliore sarebbe stata scappare al più presto. “A Milano, a Milano!”». Invece, «Meneghello ci mostrava non solo che su Vicenza si potevano scrivere dei libri bellissimi (…), ma che era stato un privilegio nascere lì».