Ci sono film che vogliono essere semplicemente sopportati. Esperienze-limite che trasformano la visione in una prova di resistenza emotiva e fisica. Melancholie der Engel, uscito nel 2009 ma rimasto confinato ai circuiti estremi del cinema underground tedesco, appartiene a questa categoria rarissima: un’opera che la critica più radicale ha definito «colmo di atrocità, depravato e perverso» e che da anni circola come leggenda nera tra gli appassionati dell’horror estremo.

Il film, scritto e diretto da Marian Dora, non segue una trama tradizionale: mette in scena Katze, un uomo malato terminale che torna in una casa isolata per affrontare la morte insieme al vecchio amico Brauth. Con loro ci sono alcune giovani donne e figure enigmatiche come l’artista Heinrich e la paralizzata Clarissa. Quel che segue è una spirale di nichilismo e sadismo: umiliazioni fisiche, violenze sessuali, atti blasfemi e una sensazione costante di putrefazione morale. Più che raccontare, trascina lo spettatore in un universo di degrado e dolore, dove ogni legame umano sembra annientato. La genesi stessa dell’opera è atipica: budget minimo, una troupe ridottissima, molti attori senza accesso alla sceneggiatura completa e un processo creativo ossessivo da parte di Dora, che ha curato regia, fotografia e montaggio.

Questa libertà assoluta ha generato un film lungo oltre 160 minuti, cupo e senza compromessi, volutamente respingente. Le reazioni critiche confermano la sua reputazione estrema. Il sito specializzato The Worldwide Celluloid Massacre scrive: «Non esiste una trama o comunque qualcosa di intelligibile di cui parlare, non ci sono logica, filosofia o personaggi comprensibili, soltanto alcune persone seriamente malate che fanno cose disgustose in un presunto film “artistico”. Mi sarebbe piaciuto poter dire che il film si limita a ritrarre persone molto disturbate, crudeltà e abiezione, ma in realtà la pellicola sembra davvero sguazzare in tutto questo e pretende che si possa considerarlo arte o qualcosa di emotivamente intenso». Anche Severed Cinema lo definisce «oggi la più malfamata e indiscutibilmente estrema pellicola tedesca» e conclude che è «colmo di indescrivibili atrocità… completamente privo di moralità. È una prova di resistenza depravata, perversa e nichilista». Tra gli spettatori, su Letterboxd qualcuno lo descrive come «depressivo, brutale, bello, poetico, bizzarro, amato, odiato, disturbante»; su IMDb si leggono commenti come «questo film deve essere distrutto e dimenticato». In Italia, viene definito «un viaggio osceno e terrificante… assolutamente fuori dall’ordinario».

Melancholie der Engel non è un film da consigliare a cuor leggero: è volutamente estremo, esplora i limiti della rappresentazione e del disgusto. Ma per chi vuole comprendere fino a che punto il cinema possa spingersi, resta una visione di cui è impossibile uscire indifferenti.

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