di
Guido Olimpio
Dopo il rilascio degli ostaggi si apre la successione a Hamas. Il piano di Trump è opaco e lascia aperti i temi più delicati: armi e controllo politico
La fase uno del piano Trump sta per iniziare ma già si profilano le manovre che rischiano di rallentare o persino compromettere i passi successivi.
Con un comunicato congiunto Hamas, Jihad islamica e Fronte popolare hanno respinto una tutela esterna di Gaza, tutto deve restare in un ambito palestinese. A sua volta Bassem Naim, sempre di Hamas, ha detto no a un disarmo totale. Un avvertimento lanciato mentre i garanti dell’intesa sono al lavoro per definire la missione della forza internazionale di stabilizzazione, l’Isf.
La base
L’inviato speciale americano Steve Witkoff ha visitato ieri la zona dove sono ripiegate le unità israeliane. Al suo fianco il generale Brad Cooper, responsabile del Centcom, che insieme ai suoi ufficiali sta seguendo le operazioni di schieramento dell’Isf. Per ora sono arrivati 200 soldati statunitensi, dislocati nella base aerea di Hatzor, in Israele, che diventa lo snodo centrale.
Gli americani faranno da comando, non metteranno piede a Gaza (ribadito in queste ore) lasciando il lavoro sul terreno a qatarini, egiziani, turchi, emiratini e probabilmente quote provenienti da Paesi musulmani, come ad esempio Indonesia, Marocco, Stati dell’Asia centrale. Non è chiaro se, in futuro, parteciperanno alla missione gli europei. Francia e Italia si sono dichiarate disponibili: Parigi vorrebbe muoversi sotto la bandiera Isf, Roma ha ipotizzato un’attività in una cornice Onu. Tuttavia, sono numerosi i dettagli da definire. La vaghezza è servita a strappare il sì ai contendenti, la soluzione dei nodi è stata posticipata in modo da poter raggiungere un risultato rapido — si spera — sugli ostaggi e prigionieri.
All’Isf spetterà la sicurezza, la protezione degli aiuti, il pattugliamento e la garanzia che le parti rispettino i venti punti messi nero su bianco.
I compiti
Tra gli ostacoli subito emersi ve ne sono due robusti. L’arsenale di Hamas: il movimento è disposto a cederne solo una parte e vuole consegnarla all’autorità palestinese che gestirà Gaza; a ciò aggiunge la richiesta di far parte della polizia. E già venerdì i suoi agenti sono riapparsi in alcune zone della Striscia, ne sono stati mobilitati 7 mila, nominati 5 governatori. Il secondo punto è il «board» incaricato di sovraintendere all’intesa: formalmente è presieduto da Trump ed era stato ventilato un ruolo di proconsole per l’ex premier britannico Tony Blair. I palestinesi non lo vogliono. Hamas punta a conservare le radici nella Striscia, non in forma ufficiale in quanto è escluso dall’intesa, magari mimetizzata, però presente e decisiva.
Il trio di mediatori Qatar-Egitto-Turchia dovrà pressare ancora. Come convincere i guerriglieri a mettere da parte il Kalashnikov? Trasferiranno i fucili in Egitto? Da risolvere anche la questione tunnel clandestini: li cercheranno? Li faranno saltare? A questo si aggiunge l’amministrazione della Striscia, in tempi normali mantenuta da impiegati locali. Forse capiremo di più dopo il summit egiziano di lunedì alla presenza del presidente Usa e di altri leader.
Gli schieramenti
Il rettangolo di Gaza è piccolo ma è sufficiente a contenere una miriade di formazioni. L’elenco è vasto. Hamas, Jihad, i tre Fronti (popolare, democratico, Jibril), numerose «brigate» del Fatah, i Comitati popolari, i Mujaheddin, i jihadisti e i salafiti. Spesso con sottogruppi, non sempre disciplinati. Potrebbe accadere che la casa madre si adegui in modo formale al piano mentre spunta una sigla a dire no. Vecchio metodo. L’intelligence di Arafat aveva lasciato spazio a Settembre Nero negli anni ’70.
I clan locali
Esistono poi clan locali, alcuni specializzati nella realizzazione delle gallerie e coinvolti nel contrabbando. Uomini buoni per ogni stagione. Allo stesso tempo sono nate due milizie sponsorizzate da Israele, quelle di Abu Shabab e di Hussam al Astal. E c’è da vigilare perché in assenza di autorità reale possono trovare spazi gruppi criminali. Le notizie raccontano di scontri a fuoco con network «familiari», di arresti eseguiti da Hamas, persone sospettate di collusione con il nemico, accusa che da queste parti è elastica ed utile per eliminare chi non è d’accordo. Il richiamo dei poliziotti è stato giustificato con la necessità di mantenere l’ordine.
Il rispetto dei patti è fondamentale. Perché Bibi Netanyahu ha minacciato una ripresa dell’offensiva se dovessero esserci violazioni e l’Idf occupa ancora il 50 per cento della Striscia. Basta poco per rompere le regole.
12 ottobre 2025 ( modifica il 12 ottobre 2025 | 09:36)
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