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Chi è passato attraverso l’esperienza raccontata dal film “Tre Ciotole”, o è stato vicino a chi ha attraversato la stessa tempesta che si trova a dover affrontare la protagonista, troverà nell’opera di Isabel Coixet in uscita al cinema giovedì 9 ottobre, troverà parecchia verità, un racconto onesto e realistico, di quello squarcio che si apre nella vita di chi, all’improvviso, nel modo più complicato, doloroso e straziante arriva a una nuova consapevolezza. Nel film colei che passa attraverso questa esperienza è Marta, interpretata da Alba Rorwacher, il suo compagno, Antonio, è invece incarnato da Elio Germano. Silvia D’Amico invece, interpreta Elisa, la premurosa sorella di Marta.
“Tre Ciotole”, la trama
Marta e Antonio sono una coppia che sta insieme da molti anni e che, come a volte succede, a un certo punto non sanno capirsi più. Antonio decide allora di lasciare la sua compagna dopo sette anni di vita insieme e noi seguiamo sia lui che lei, alle prese con il lutto della separazione. Se piano piano i ripensamenti di Antonio si fanno strada dentro di lui, Marta si chiude sempre più in se stessa. In questo stato di apatia, si accorge di perdere peso perchè non ha più appetito. Su consiglio della premurosa sorella, si rivolge a una specialista, parlando del suo momento personale difficile e del buio che sta attraversando. Un buio che però, a un certo punto, diventa lontanissimo, diventa un semplice incidente, perché dai risultati degli esami Marta scopre di avere un tumore all’ultimo stadio e da quel momento, il suo sguardo sulle cose cambia e con esso cambia tutta la valutazione delle sue esperienze, delle sue scelte, dell’intero mondo in cui è immersa e che la circonda. Non c’è più tempo per tergiversare, la vita di Marta diventa improvvisamente adesso e tutto.
“Tre Ciotole”, l’illuminazione sulla vita quando si capisce che sta sfuggendo via
E’ un affare delicato scrivere questa recensione perchè parliamo di un tema, la malattia, anzi quella malattia, così a lungo in passato “innominabile” anche sui media, il cancro, che spesso e a proposito viene raccontato con un linguaggio e un immaginario totalmente intriso di retorica. E in particolare, la retorica che vede il malato trasformarsi in un guerriero, pronto a combattere per “guadagnarsi” la vittoria della guerra, ovvero il salvarsi la pelle. Purtroppo, come tutti sappiamo, non è questione di buona volontà o di impegno nel pensare positivo, se le cure hanno effetto sugli organismi attaccati oppure no. E l’impossibilità di cura non è certo qualcosa che dipende dal malato.
In questo film, tratto dal libro di Michela Murgia, che in questa esperienza ci è passata in prima persona, c’è tutto tranne che la retorica a cui siamo abituati, e c’era da aspettarselo, proprio considerando da quale penna arriva la storia di Marta. Il film mette in scena il libro con delicatezza ed equilibrio, parte dal mettere al centro la coppia, una coppia come tante, e quando Marta scopre di essere malata, il suo rapporto è già naufragata e lei crede di essere perduta per questa rottura. Quando scopre che invece è la vita stessa che sta per fuggire via, la protagonista attraversa una vera e propria illuminazione che le permettere di mettere ogni cosa della sua vita così caotica e anche così inconsapevole. L’amore che non c’è più, il lavoro da insegnante e dunque il rapporto con i giovani studenti, una sorella volenterosa ma sgangherata, che vive anche lei senza la consapevolezza liberatrice che la vita è una e breve. E poi, le piccole cose che rendono la vita degna di essere vissuta, che la riempiono di sapori, suoni, colori, curiosità, stupore. Potreste pensare da queste parole, che siamo di fronte all’ennesima rappresentazione edulcorata di un percorso doloroso, ma non è così. L’illuminazione di Marta arriva in un modo così naturale e senza scossoni, ed è una reazione così “normale”, che chiunque abbia passato o abbia avuto vicino qualcuno che ha passato la stessa esperienza può riconoscerla. Una reazione, una illuminazione, che ci dice molto sul senso della vita e sulla verità difficile da digerire che, per capirla davvero, dovremmo avere sempre ben chiaro il suo carattere precario. Usciti dalla sala, vi sentirete più consapevoli anche voi.
Voto: 6,8
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