di
Valerio M. Visintin

Grazie alla moglie Carmela «la padrona di casa». Napoletani come la loro pizza dagli ottimi prezzi: cinque euro per la marinara, sei per la margherita. «Faccio il pizzaiolo per passione, non l’attore»

Abbiamo cuochi da copertina, chef da pubblico comizio, paninari da migliaia di visualizzazione sui social. Ma noi preferiamo Bruno Daniele, il pizzaiolo invisibile.

Nessuno lo ha mai visto. Nessuno può vederlo, dietro la porta della cucina, mentre impasta, condisce e affonda la pala nelle fauci del forno a legna. Tuttavia, è accertato che esiste in carne e ossa, perché le sue magnifiche pizze arrivano fumiganti ai tavoli; perché a Carmela, la moglie, capita di nominarlo parlando con i clienti, sia pure su espressa richiesta e con una certa circospezione, come se avesse timore di disturbarlo pronunciandone il nome. E quale nome, poi? Anche qui, senza intenzione, si alimenta un mistero. Donna Carmela lo chiama Daniele che invece è il cognome.



















































Piccoli enigmi di una storia ricca di passioni. Una trama che sembra cucita da un sarto sulla misura di questa rubrica. 

Mascherato io, invisibile lui: tocca intervistarlo per telefono.

Racconta di Bruno e Carmela che nascono napoletani, nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, cinquantasei anni fa. E ancor prima di trasferirsi a Milano, sono sposati, malgrado abbiano appena passato i diciotto anni. Siccome i Daniele hanno familiarità con la pizza da generazioni, Bruno parte da Napoli portando in valigia il suo mestiere. Si fa i calli nelle pizzerie del parentado, che lavorano a tutto vapore nell’hinterland milanese. E finalmente si mette in proprio, aprendo una bottega da asporto con vista sul Naviglio Pavese.

«Ci trovavamo bene, ma era un porto di mare», dice senza ironia, lui che al mare ci è nato. Insomma, occorre un cambio di passo. Si materializza undici anni fa in via Galeazzo Alessi, in quel reticolo di strade che si danno di gomito dietro corso Genova: la Pizzeria Daniele.

Al principio, forno e pizzaiolo sono seminascosti, ma visibili in fondo alla sala. Maglietta bianca, sorriso fanciullesco dietro la montatura spessa degli occhiali, braccia nodose e sdutte come la cornice delle sue pizze.

Ma come mai lei si nasconde, non pubblica video, non schiamazza sui social come fanno molti suoi colleghi?
«Guardi, io faccio il pizzaiolo per passione, per amore di questa di questo lavoro. Faccio il pizzaiolo, non faccio l’attore».

Con calma, un passo per volta, Carmela e Bruno conquistano la clientela del quartiere. «Ma oggi arriva sempre gente nuova. E vengono anche dall’altra parte della città». 

E che cos’hanno di così speciale questa pizza e questa saletta linda e popolare, infarcita di vedute partenopee? Tutto. Tanto per cominciare, i prezzi. Perché la marinara costa 5 euro e la margherita 6. Si arriva a 10 con le farciture più elaborate, come per la deliziosa parmigiana, con melanzane saltate in padella.

E poi? È speciale la pizza in sé. Alla napoletana e a ruota di carro, come altrove. Eppure, diversa. «La facevo morbida, come a Napoli. Ma i milanesi si raccomandavano: ben cotta, ben cotta, ben cotta. Ci ho pensato. Mi son detto, bisogna cambiare. Ho abbassato il forno a 400 gradi per poterla tenere dentro qualche secondo di più. Perché è vero che la pizza napoletana a volte non è cotta, è solo allampata». Niente lampi, adesso: è perfetta. Croccante, densa, renitente al passare dei minuti. Deborda dal piatto, ma non si affloscia sulla tovaglietta, resta tenacemente tesa nel suo contegno ruvido e uniforme, senza bruciacchiature. Ed è digeribilissima.
«Il segreto è una giusta lievitazione, con poco lievito e maturazione di 24 ore più una notte in frigo».

Solo questo?
«No, il vero segreto è mia moglie Carmela, la padrona di casa. A che serve una buona pizza, se non c’è una brava venditrice?».


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11 ottobre 2025 ( modifica il 12 ottobre 2025 | 10:45)