Lo spagnolo, 20 anni a novembre: “Il calcio italiano è molto più fisico, hai sempre un uomo addosso, in Spagna si cura più il tocco di palla. L’espulsione con la Cremonese? Per me non è rosso. Alvaro mi ha regalato la Nintendo Switch perché…”

dal nostro inviato Filippo Maria Ricci

12 ottobre – 10:51 – LAS ROZAS (SPAGNA)

Sole o ombra? “Sole, grazie”. Jesus Rodriguez è di Siviglia e sceglie il calore. Sotto di noi Marc Cucurella, Marcos Llorente, Pablo Barrios e Alex Baena fanno lo stesso: a torso nudo, seduti sull’erba con gli asciugamani utilizzano la pausa tra allenamento e pranzo per godersi il tepore del sole agli 800 metri di Las Rozas, il centro tecnico della Spagna. Tranquillità, normalità, buonumore, bell’ambiente. Jesus Rodriguez ha debuttato con la Roja in settembre, ed è stato riconfermato. Compirà 20 anni in novembre, è abituato sempre a essere il più piccolo o quasi ma con la Bulgaria è entrato in campo al posto di uno più giovane di lei. “Eh, non ci avevo pensato. Ma Lamine Yamal è un’altra storia, è il più forte del mondo. Avrà pure 18 anni appena compiuti ma per me è un modello. Peccato non gli abbiano dato il Pallone d’Oro, per me lo meritava perché ripeto è il migliore del mondo. Non ho mai visto uno così, è il giocatore che più mi ha sorpreso”. 

Il calcio spagnolo continua a produrre talenti. 

“È incredibile. Qui in nazionale ci sono tantissimi giovani, l’età media è molto bassa, e dietro tra i miei ex compagni dell’Under 19 e Under 21 è pieno di gente forte. Il sistema funziona, crea competizione, genera qualità ed è bello poter pensare che le porte della nazionale maggiore siano aperte. Io ho sempre sognato di vestire questa maglia, non osavo neanche pensare di arrivare qui così presto ma quando sei nelle giovanili sai che ti seguono, che il ct non guarda la carta d’identità e che se lavori bene la strada per la ‘absoluta’ è lì da percorrere. È un incentivo notevole”. Alvaro Morata. 

“Una persona eccezionale. Appena arrivato al Como ha iniziato a darmi consigli, e quando sono venuto in nazionale ancora di più. Qui tutti giocano alla Nintendo Switch, io no: me l’ha regalata e ha iniziato a giocare con me per farmi fare pratica e facilitare l’inserimento. Più che un fratello maggiore per me è quasi un padre”. 

“Una sorpresa. Gran tecnico, aiuta e sta vicino a noi giovani. Quando mi hanno chiamato in nazionale mi ha solo detto di farmi notare, di continuare a fare ciò che faccio al Como tutti i giorni, di essere sfacciato in campo come lo sono in Serie A perché così facendo avrei avuto la possibilità di farmi richiamare. E così è stato”. 

Aveva diverse offerte, perché il Como? 

“Per il progetto, giovane e ambizioso. Sapevo che mi avrebbero aiutato, che mi avrebbero dato minuti e fiducia, non mi sono sbagliato”. 

Dice che si deve ancora adattare alla Serie A però fino all’espulsione con la Cremonese stava facendo molto bene, ed è appena arrivato. 

“Il finale della stagione col Betis non è andato come speravo, ma sono arrivato a Como pieno di speranza. Mi hanno accolto benissimo aiutandomi tanto. È vero che ho segnato e fornito assist ma io ripeto sempre che sono ancora molto lontano dal mio livello migliore, posso dare molto di più e lavoro per questo”. 

Tre giornate di squalifica, non se l’aspettava. 

“No. Quando io lo colpisco è perché lui mi ha spinto da dietro e voglio togliermelo di torno, lui si butta a terra mettendosi le mani in faccia e io l’avevo toccato sul petto. Mi sembra incredibile, per me non è neanche rosso. Si penalizza chi cade nel tranello del difensore e non il difensore che picchia tutta la partita e che agisce come provocatore”. 

“Tattica e tecnica da una parte, fisico e difesa dall’altra”. Elaboriamo. 

“In Italia si gioca sempre uno contro uno, ti seguono per tutto il campo e ricevere palla spalle alla porta è molto complicato perché hai sempre qualcuno addosso: in questo senso penso sia un calcio più difensivo e intenso. In Spagna si cura più il toque, hai più tempo per pensare, più spazio. Però se parliamo di spazi anche in Serie A ci sono, se salti l’uomo dopo si apre un mondo. Personalmente non avevo mai avuto l’avversario tanto attaccato, e per questo dico che devo ancora adattarmi al meglio. Il giorno della Cremonese ero disperato, andavo da qualsiasi parte e il tipo mi seguiva. Ma mi abituerò”. 

Qui in Spagna c’è una polemica enorme per il Villarreal-Barça a Miami. A voi tocca andare fino a Perth, in Australia a giocare col Milan. Si dice tanto che giocate e viaggiate troppo e vi mandano nell’altro emisfero. 

“Già. E i viaggi sono durissimi. Dicono, ‘si, ma viaggiate soli, comodi’, ok, ma la botta resta, stare ore e ore seduti o sdraiati in un aereo stanca tanto. Poi noi siamo lavoratori e facciamo ciò che ci chiedono, quindi andremo in Australia e daremo tutto. Se hanno detto sì vuol dire che ci sarà un motivo positivo, però mi dispiace per i tifosi della squadra di casa che si perdono una partita, e personalmente se fosse stato Como-Milan mi sarebbe piaciuto ancora meno, perché amo giocare nel mio stadio coi miei tifosi”. 

Al Como siete tutti spagnoli, o quasi. Riesce a imparare l’italiano? 

“Sì, prendo lezioni e me la cavo. Tutti li a dire che l’italiano è facile… magari è facile da capire, ma parlarlo… Per me è uno spagnolo complicato. Siamo tanti spagnoli tra giocatori e staff tecnico e quindi è più complicato migliorare, ma mi applico parecchio”. 

E il passaggio da Siviglia a Como? 

“Bene, direi. Sono venuto con la mia ragazza, mia madre viene spesso, mio padre un po’ meno perché sta di più con mio fratello che gioca nel Betis. È un gran cambio ma clima e cucina sono simili. Oddio, il clima quasi: sono abituato a 40 gradi in estate e Como è più simile a Bilbao, ma va bene”. 

Lei è passato da Pellegrini, 72 anni, a Fabregas, 38. 

“Due grandi allenatori, e due forme totalmente diverse di intendere il calcio e la vita. Uno più distante, l’altro più vicino, e via dicendo. Sta a noi calciatori adattarsi. Ero contento e ho appreso tanto con Pellegrini ora vale lo stesso con Cesc”. 

Nella stagione 23-24 ha giocato con la seconda squadra del Betis in quarta serie, una specie d’inferno, conquistando la promozione in terza. Aveva 17 anni. 

“Ed è stata un’esperienza incredibile. Affronti gente molto più grande di te in campi orrendi, piccoli, pieni di vecchi marpioni, e la cosa ti aiuta ad adattarti e a migliorare. Riempi la valigia di cose che ti servono. Spero di seguire anche in Serie A lo stesso percorso fatto lì: inizialmente ho sofferto, poi ho finito alla grande: gol nel ritorno della semifinale con l’Europa, un club storico di Barcellona che quel giorno perse la prima partita in casa della stagione, gol all’andata e al ritorno della finale col Pontevedra (città da 85.000 abitanti, ndr). In casa ci aprirono il Villamarin e vennero 17.000 spettatori. Memorabile, come tutta la stagione”.