Fasce di reperibilità, sorveglianza e cambi di programma: coniugare i controlli con la vita quotidiana non è così semplice

Rebecca Saibene

12 ottobre 2025 (modifica alle 14:22) – MILANO

Comunicare dove si è, 365 giorni l’anno. Essere reperibili per un’ora, ogni giorno. Niente cambi di programma improvvisi, niente imprevisti non segnalati. A queste regole devono attenersi i primi 100 tennisti al mondo Atp e Wta, e i primi 10 doppisti, iscritti all’IRTP, il Registered Testing Pool. I migliori tennisti del mondo sono infatti tenuti a fornire i propri “whereabouts”: indicazioni su dove si trovano ogni giorno, specificando un’ora precisa in cui saranno reperibili. Questo il sistema di localizzazione che permette alle autorità antidoping di effettuare controlli fuori competizione, senza preavviso. Si possono saltare fino a due test in un anno. Tre controlli mancati equivalgono a un test positivo. Regole semplici, pensate per tutelare la correttezza dello sport, ma che spesso si scontrano con l’imprevedibilità della vita reale e che per i tennisti rappresentano un vincolo tutt’altro che semplice da gestire. Il Guardian ha raccolto gli aneddoti più curiosi accaduti nel tentativo di conciliare le rigide politiche antidoping con gli imprevisti della quotidianità. 

i controlli più curiosi—  

Per maggiore comodità, molti tennisti sono soliti scegliere come fascia di reperibilità, la prima fascia oraria selezionabile, tra le 6 e le 7. Orario in cui sono sicuri di ritrovarsi a letto, a casa o in hotel. Ed era in hotel Gael Monfils, rientrato da pochi minuti da una notte brava, quando alle 6 in punto si è ritrovato un addetto antidoping fuori dalla porta: “Sono morente nel mio letto e lo sento arrivare a malapena – queste le parole del tennista riportate dal quotidiano inglese – così gli dico ‘Non riesco proprio a fare pipì. So che devi stare con me. Vieni nella mia stanza’”. Monfils gli offre una sedia, la sistema davanti al letto e si riaddormenta. Al suo risveglio, dieci ore dopo, il funzionario è ancora lì. Pronto a eseguire il test. Gli atleti devono infatti attenersi alle rigide procedure dell’Agenzia Mondiale Antidoping: quando arriva il controllo, va portato a termine, anche se ci vogliono ore. E l’atleta deve essere sorvegliato per tutta la durata della procedutra. Stesso copione per Tallon Griekspoor, che ha raccontato di aver ospitato un funzionario per tre ore sul divano, in attesa del campione d’urina: “Ci siamo messi a guardare una partita dell’Ajax per passare il tempo”.

fuori dall’orario di reperibilità—  

Se essere reperibili per un’ora al giorno può sembrare un’incombenza tutto sommato gestibile, la realtà è un po’ diversa. I controlli possono infatti avvenire anche fuori dalla fascia di reperibilità: se il tennista si trova nelle vicinanze quando l’agente arriva, è tenuto a interrompere qualsiasi cosa stia facendo e presentarsi per il test. Anche se si tratta di un giorno speciale. Lo sa bene Jakub Mensik, richiamato a casa nel giorno della sua cerimonia di diploma per sottoporsi al controllo. O Taylor Fritz, intercettato nella lobby di un hotel subito dopo un volo per Shanghai. “Ero distrutto dal jet lag – ha raccontato – mi spostai in camera con l’addetto, provando a dormire dieci minuti alla volta. Ogni volta mi svegliavo e cercavo di fare pipì, ma niente”. Essere osservati in un momento così intimo non è semplice. “Avere uno sconosciuto che ti guarda mentre fai pipì è una situazione strana”, ha ammesso Arthur Fils. Jack Draper, invece, prova a mettersi nei panni di chi sta dall’altra parte: “Non è facile neanche per gli addetti, cerco di ricordarlo sempre”.

i cambi di programma—  

Ma la parte più complicata, per molti, resta gestire i cambi di programma. Alcuni tennisti si affidano ai propri manager, altri – come Jessica Pegula – preferiscono occuparsene in prima persona, vista l’importanza della questione. Ma non sempre tutto fila liscio. Nel 2016, Madison Keys stava inseguendo gli ultimi punti per qualificarsi alle Finals. Dopo la semifinale persa a Pechino, ha tentato il tutto per tutto per ottenere una wild card al Linz Open: “Siamo corsi in hotel, abbiamo fatto i bagagli e due ore dopo eravamo su un aereo, ma ho dimenticato di aggiornare la mia posizione. Gli addetti sono arrivati la mattina dopo. Quando siamo atterrati a Linz ho realizzato di aver preso ‘uno strike’ e sono scoppiata a piangere”. Essere tra i migliori al mondo, a volte, significa anche questo: vivere con un localizzatore addosso.