Preparati subito, perché tutti da oggi cercheranno i libri di László Krasznahorkai, 71 anni, ungherese di Gyula. Autore dalle frasi lunghe quanto un assedio medievale, è il premio Nobel per la Letteratura 2025 nonché lo scrittore che ha trasformato la fine del mondo in un genere letterario a sé. L’Accademia di Svezia lo premia per “un’opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell’arte”. Tradotto: non si legge con leggerezza, ma se ne esce vivi.

Il suo primo romanzo, Sátántangó (1985), era già un manifesto: una fattoria collettiva cadente, personaggi disperati in attesa di un salvatore che non arriva, e un senso di rovina che gocciola pagina dopo pagina. Béla Tarr ne fece un film di sette ore, considerato da cinefili masochisti come una delle più grandi esperienze estetiche di sempre.

“Satantango” di László Krasznahorkai (Formato Kindle)

Poi, arrivò Melancolia della resistenza (1989): balene morte, circhi itineranti, un ordine sociale che si sbriciola davanti a un potere grottesco. Tarr ci girò Le armonie di Werckmeister (2000), con quelle scene notturne che sembrano sogni di una città in coma.

“Melancolia della resistenza” di László Krasznahorkai

Non è un caso se Susan Sontag lo definì “il maestro dell’apocalisse”: perché Krasznahorkai non scrive storie, scrive cataclismi. Con Il cavallo di Torino (2001), ancora una volta via Tarr, mise in scena sei giorni di vento, fame e disperazione in una casa isolata: l’anti-Netflix per eccellenza. E L’uomo di Londra (2007), sempre adattato da Tarr, ci porta tra ombre metropolitane e un crimine che è più sogno che realtà, un esempio perfetto del suo stile ipnotico e avvolgente.

Ma attenzione: non c’è solo fine del mondo nei libri di László Krasznahorkai. In Guerra e guerra (1999) un archivista si inventa una missione disperata per caricare su internet un manoscritto antico, come se l’eternità si potesse conservare su un hard disk. In Il ritorno del barone Wenckheim (2016), invece, un aristocratico decaduto torna nella sua città natale e scatena un carnevale tragicomico di provincialismi, rancori e speranze disattese.

“Guerra e guerra” di László Krasznahorkai

“Il ritorno del Barone Wenckheim” di László Krasznahorkai

E poi c’è Avanti va il mondo, uscito lo scorso anno per Bompiani, raccolta di ventuno storie che sono una piccola apocalisse quotidiana. Qui Krasznahorkai ci porta in giro per il mondo, tra uomini e donne sul punto di lasciare il mondo – fisicamente o simbolicamente – come un interprete ungherese ossessionato dalle cascate, perso tra le strade di Shanghai; un gigante sulle rive del Gange che fissa una goccia d’acqua come se fosse l’universo; un bambino al lavoro in una cava di marmo, che sente sulle spalle l’immensità della storia. Persone che fanno i conti con gli abissi, aperte allo stupore e all’imprevisto, e che ci ricordano che l’apocalisse non è solo catastrofe, ma anche meraviglia.

“Avanti va il mondo” di Laszlo Krasznahorkai

Oggi Krasznahorkai è ufficialmente Nobel, e Bompiani annuncia il suo nuovo romanzo per il 2026: titolo provvisorio Panino non c’è più. Geniale o parodico? Lui dice che scrive solo se ha qualcosa di “veramente, ma veramente, ma davvero molto molto importante” da dire. Quindi il panino, scomparso, potrebbe essere la più radicale allegoria del nostro tempo: se cade il quotidiano, cade tutto.

Con Krasznahorkai l’Ungheria si prende il secondo Nobel dopo Imre Kertész. Ma se Kertész raccontava Auschwitz, lui racconta il dopo: l’Europa svuotata, le ideologie finite, l’attesa eterna di un futuro che non arriva mai. “L’apocalisse non è domani, è adesso”, disse qualche anno fa. Un’idea di presente che non consola, ma che spiega bene perché la sua scrittura, ipnotica e implacabile, sia arrivata fino a Stoccolma.

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