di
Sal Emergui
Il racconto, l’angoscia, la speranza. Il 7 ottobre 2023 era stato rapito anche il suo altro figlio, Iair, poi rilasciato: non gli ha mai chiesto particolari del suo sequestro, e nemmeno lui gli ha raccontato nulla.
Questo articolo è stato pubblicato da El Mundo, traduzione di Rita Baldassarre
TEL AVIV – «Questo lunedì spero di riabbracciare Eitan. Per la prima volta in due anni riesco ad accennare un sorriso, perché sembra proprio che ci siamo, anche se abbiamo avuto quell’impressione già in svariate occasioni in passato», dice Itzik Horn, che in un difficile equilibrio tra euforia e cautela già si rallegra per il ricongiungimento con il figlio, prigioniero di Hamas dal 7 ottobre del 2023.
Secondo gli accordi del piano di Trump per una tregua nella Striscia di Gaza, l’organizzazione islamista ha tempo fino a domani per consegnare i 48 ostaggi ancora trattenuti, con la priorità assoluta per i 20 che sono ancora in vita.
Problemi di salute, dovuti a un complesso trapianto di rene, e l’ansia accumulata hanno lasciato il segno su questo israelo-argentino di 73 anni, che confessa: «Quando Eitan tornerà da Gaza, finirà anche la mia prigionia».
Dal giorno del rapimento di due dei suoi tre figli, Eitan e Iair, durante l’attacco del 7 ottobre, Horn è riuscito ad abbozzare un sorriso fugace solo una volta, lo scorso 15 febbraio. Quel giorno la famiglia riebbe indietro Iair, dopo 498 giorni di prigionia, ma Eitan perse il suo maggior sostegno, rimasto solo e incarcerato nei tunnel dei terroristi.
«Fisicamente, Iair è qui con noi, ma la testa e il cuore sono rimasti a Gaza, accanto a Eitan», commenta l’uomo a «El Mundo», nelle ore drammatiche che precedono l’annunciato ricongiungimento familiare. Non gli ha chiesto particolari del suo sequestro, e nemmeno Iair gli ha raccontato nulla. In entrambi i casi, la volontà è quella di proteggersi a vicenda.
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Nato 38 anni fa in Argentina e oggi residente a Kfar Saba, durante quel funesto sabato nero Eitan era ospite in casa di Iair nel kibbutz Nir Oz, a due passi dalla frontiera con la Striscia di Gaza. Per tre settimane, furono annoverati tra i dispersi. Quando si seppe che invece erano tra gli ostaggi, la famiglia festeggiò la notizia.
A inizio settimana, quando Trump ha annunciato l’accordo per la tregua in una Gaza martoriata, Horn stava dormendo. «Mi sono svegliato, ho preso il telefono e ho letto 300 messaggi su WhatsApp. Continuavo a leggere, e ogni volta mi sembrava di capire di meno. Ho acceso la televisione e parlavano, parlavano, finché qualcuno ha detto che l’accordo era stato approvato. Mi sono vestito in fretta e furia per scendere in piazza, qui, a Tel Aviv, prima di rendermi conto di aver infilato due calzini di colore diverso», ricorda.
«Si dice che il successo ha molti padri mentre il fallimento è orfano. In questo caso, il successo ha un solo padre, e si chiama Donald Trump. È per questo che ci sentiamo piuttosto tranquilli», commenta, prima di tornare alla cautela: «Fino all’ultimo fischio dell’arbitro, la partita non è finita».
Malgrado tutto, conserva il senso dell’umorismo. «Per taluni, può sembrare umorismo macabro. Quando tutti e due i miei figli erano laggiù e mi chiedevano che cosa gli avrei detto al momento del rilascio, rispondevo: “Hanno esagerato con la dieta!” Un certo senso dell’umorismo ci ha consentito, a noi tutti, di andare avanti. Quando è stato rapito, Iair pesava 120 kg, ed è tornato che ne pesava 70. Le donne liberate, che avevano trascorso un paio di giorni con lui, mi dicevano che era contento di essere dimagrito, perché finalmente avrebbe trovato una fidanzata».
«Due giorni dopo la liberazione di Iair, Hamas fece circolare un video raccapricciante della cosiddetta festa di commiato dei due fratelli nel tunnel. È questo il tipo di individui con cui abbiamo a che fare… ma ancor più sinistro è stato il video recente di quel povero ragazzo, Evyatar, ridotto a pelle e ossa. Per arrivare a tanto, bisogna essere profondamente malvagi», denuncia Horn.
Si riferisce al video che mostra un certo Evyatar David, ormai scheletrico, costretto a scavare la propria tomba in un tunnel nella Striscia di Gaza. Questo giovane era stato sequestrato assieme ad un amico d’infanzia, Guy Gilboa-Dalal, durante il Festival Nova, dove due amici comuni sono stati massacrati. Quel video fece rabbrividire i suoi cari, ma almeno era un segnale di vita.
Hamas e altri gruppi palestinesi hanno sequestrato 251 persone in poche ore nel sud di Israele.
Dopo varie operazioni di salvataggio, ma soprattutto dopo due accordi di tregua, restano ancora 48 prigionieri. Di costoro, nove provengono dal kibbutz Nir Oz, quattro dal kibbutz Be’eri, due dal kibbutz Kfar Azza e altri due dal kibbutz Nir Yitzhak. Un ostaggio proviene dalla città di Nahal Oz, mentre altri undici sono poliziotti e soldati. I rimanenti sono stranieri (da Tanzania, Thailandia e Nepal). Quindici sono gli ostaggi prelevati dal Festival Nova.
Tra di loro, un’unica donna. Inbar Haiman era arrivata all’alba a Nova, lavorava per l’organizzazione. Quando cominciò l’attacco, la giovane di Haifa si nascose sotto il palco, e di lì scambiò messaggi con il fratello e il fidanzato. Poi fu costretta a uscire dal nascondiglio. Quando i terroristi l’afferrarono, Haiman tentò di opporre resistenza. Ma poi fecero fuoco contro di lei e con le mani insanguinate caricarono il suo corpo sulla motocicletta per condurla a Gaza, secondo alcuni testimoni oculari.
«Cantavano e ballavano attorno a lei», aveva denunciato la zia, Hannah Cohen, che esige la restituzione del corpo affinché venga sepolto in patria.
Se Haiman era una tifosa accanita del Maccabi Haifa e i fratelli Horn del Hapoel Beer Sheva, i gemelli Gali e Ziv Berman tifano per il Maccabi di Tel Aviv. Rapiti dal kibbutz Kfar Azza, lavorano nel mondo dello spettacolo.
Altri due fratelli sono ancora prigionieri, gli israelo-argentini Ariel e David Cunio, sequestrati con le loro famiglie a Nir Oz. La moglie di David e le loro bambine gemelle sono state liberate a novembre del 2023, mentre la fidanzata di Ariel, Arbel Yehud, è rientrata a febbraio, dopo 482 giorni di prigionia.
Yulie Ben Ami era compagna di scuola di Ariel Cunio. Ma il suo rapporto con il 7 ottobre è molto più drammatico. Difatti è sopravvissuta al massacro nel kibbutz Be’eri, dove più di cento persone hanno perso la vita. I genitori, Ohad e Raz, furono sequestrati. Mentre quest’ultima è stata liberata in occasione della prima tregua, il marito ha fatto ritorno dopo 491 giorni di prigionia. «Il mio carceriere, psicologo di professione, aveva capito che stavo tentando di stabilire un contatto con lui, quando gli rivolsi qualche domanda sulla sua famiglia, ma subito mi disse: “Non farti illusioni, io ti odio. Adesso ho ricevuto l’ordine di proteggerti, ma se ricevo l’ordine di ammazzarti, non ti ammazzo con la pistola, ma con il coltello”», secondo la testimonianza resa a Canal 12.
Yulie capisce benissimo quello che provano i familiari che aspettano i loro cari. «La speranza del ricongiungimento fa a pugni con il timore che forse non succederà, perché siamo abituati a questi inganni. È un ottimismo circospetto, quello che proviamo. In Israele tutti ci auguriamo che sia la fine, una volta per tutte, per poter ricominciare a sorridere», spiega a «El Mundo», aspettando il rientro dei corpi di quattro residenti del suo kibbutz.
Tra di loro, il corpo di Saar Baruj, che era stata la sua maestra. Quando le faccio presente lo scambio con i prigionieri palestinesi di Israele, condannati all’ergastolo per attentati, risponde: «Israele sta pagando un prezzo altissimo, ma è costretto a farlo, a causa del tremendo fallimento del 7 ottobre. Solo quando verranno restituiti tutti gli ostaggi, potremo ricominciare a pensare dove sta andando questo paese».
Einav Zangauker, un volto oggi più conosciuto di quello di molti ministri, lotta senza risparmiarsi per la liberazione del figlio Matan, sequestrato nel kibbutz Nir Oz assieme alla fidanzata, già liberata, la israelo-messicana Ilana Gritzewsky. Zangauker, da elettore tradizionale di Netanyahu si è trasformato nel suo avversario più acerrimo, tanto nelle piazze quando nelle reti sociali.
Horn condivide le critiche, confermando che il primo ministro israeliano si sarebbe guardato bene dal firmare la tregua per la liberazione degli ostaggi se non fossero intervenute le pressioni di Trump.
Nella cosiddetta «piazza degli ostaggi» a Tel Aviv, l’angoscia si è trasformata in timidi sorrisi, appena accennati. Nel punto in cui è stata collocata una macchinina in ricordo di Kfir Bibas (assassinato dopo nove mesi di prigionia) e la fotografia di un tunnel di Hamas, migliaia di persone si riuniscono ogni sabato per protestare e chiedere il rilascio degli ostaggi.
Stasera lo hanno fatto per festeggiare l’accordo e ringraziare gli emissari di Trump, Steve Witkoff e Jared Kushner, accolti come eroi in una piazza pubblica che spera di cambiare presto di nome.
12 ottobre 2025 ( modifica il 12 ottobre 2025 | 18:26)
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