Il nuovo album della band toscana è già ampiamente celebrato da pubblico e critica, si tratta di un’analisi profondamente umana, in qualche modo scomoda, un sorta di poetico confronto con la parte peggiore di noi
«Non è mai il nostro tempo e quindi è sempre il nostro tempo», effettivamente la storia degli Zen Circus, colonna della scena indie italiana, si è fatta molto lunga, ma senza intaccare mai l’universo a parte che la band toscana è riuscita a creare, forti della loro capacità di unire cantautorato puro al rock da pogo, quello generazionale, incisivo e coinvolgente. Una storia che prosegue con Il Male, il loro nuovo album, già ampiamente celebrato da pubblico e critica, un’analisi profondamente umana, in qualche modo scomoda, un sorta di poetico confronto con la parte peggiore di noi. «La band non riesce a dare risposte – spiegano a Open Andrea Appino, Massimiliano “Ufo” Schiavelli e Karim Qqru – non vuole neanche darle, la band vuole fare un’opera maieutica, sollevando interrogativi, non c’è un intento contro il male. Anzi, il disco finisce dicendo che il male siamo noi».