È il 2014 quando Cristina, una casalinga di Borgaro senza alcuna esperienza finanziaria, viene convinta da un promotore finanziario, persona di sua fiducia, a investire 50 mila euro in una polizza vita chiamata «La Signature Bond Plus», versando il capitale in un’unica soluzione. Il promotore si reca personalmente a casa della donna per farle sottoscrivere il contratto.
Un investimento dall’apparenza sicura
A proporre l’investimento era stato un intermediario della A1 Life Spa, per conto della Hansard Europe Designed Activity Company, una compagnia assicurativa con sede a Dublino, Irlanda. La polizza viene presentata come una scelta priva di rischi, e Cristina decide così di investire tutti i suoi risparmi.
Il fondo crolla, soldi spariti
Ma la polizza non era ciò che sembrava: si trattava di una unit linked, ovvero un prodotto finanziario legato ai mercati. Se il fondo va male, l’investitore perde. Ed è proprio ciò che accade: nell’ottobre 2014, la Hansard comunica problemi di liquidità del fondo. Nel luglio 2015, il valore subisce una riduzione del 40%. Infine, nel febbraio 2016, arriva la notizia della sospensione dell’attività del fondo. Dei soldi investiti, nessuna traccia. Iniziano così i problemi legali: prima una causa civile al Tribunale di Ivrea, poi l’Appello.
La Cassazione riconosce i diritti
Oggi, dopo undici anni e due gradi di giudizio vinti (la prima sentenza è del 2020), anche la Corte di Cassazione si è espressa in favore della donna. La sentenza entra nel merito: anche le polizze vita sono strumenti finanziari, e chi le propone deve illustrare chiaramente i rischi, adeguare il prodotto al profilo del cliente (in questo caso, una casalinga senza reddito) e fornire tutte le informazioni per una valutazione consapevole.
Mancata trasparenza contrattuale
Secondo la Suprema Corte, l’intermediario avrebbe dovuto consegnare a Cristina il contratto quadro al momento della sottoscrizione, oltre a un documento che dichiarava che la proposta di contratto era «in fase di lavorazione» e un certificato di polizza. Lo scrivono i giudici presieduti da Franco De Stefano.
Risarcimento integrale dopo 11 anni
Nel frattempo, Cristina ha ottenuto il rimborso totale del capitale: il 50% dalla Hansard Europe Designed Activity Company e l’altra metà dall’intermediaria A1 Life. Per lei, si chiude così un incubo lungo più di un decennio. Il suo avvocato, Claudio Antonio Maradei, che l’ha assistita in tutti i gradi di giudizio, commenta con soddisfazione: «La Cassazione ha interamente sposato quella che dall’inizio è sempre stata la nostra tesi difensiva».