di
Guido Olimpio
Convogli depredati, esecuzioni pubbliche. La sfida per il controllo dei cunicoli sotterranei
Ci sono le parole e i fatti. Poi una seconda divaricazione: le dichiarazioni per la propria platea e quelle rivolte all’esterno. Infine, le voci anonime. Tutto questo avvolge il piano Trump e la situazione a Gaza. Altri spunti possono emergere dopo il vertice di Sharm el Sheikh, momento simbolico dopo il quale bisogna entrare nei contenuti reali dell’accordo. Tra tatticismi, ripensamenti, pericoli.
Il controllo
Con il ripiegamento israeliano Hamas ha subito riempito il vuoto. Non che fosse scomparsa, si era solo nascosta nelle gallerie e tra i civili. Così, in poche ore, i miliziani sono riapparsi in alcune località della Striscia. Per mantenere «l’ordine», catturare i «fuggitivi» (ossia gruppi rivali), evitare il caos.
Venerdì la Bbc, citando alcune fonti, sosteneva che erano stati mobilitati 6-7 mila guerriglieri e nominati cinque governatori, uno schieramento con un duplice obiettivo: ribadire chi è in controllo, assicurare un minimo di vivibilità in un’area devastata. Il movimento, 24 ore dopo, ha smentito la notizia, anche se alcune delle pattuglie dei miliziani erano ben visibili e sono state fotografate.
Ora, non saranno i numeri citati dall’emittente britannica ma sarebbe strano che non avessero sfruttato il ritiro parziale del nemico. Per contro la solita fonte anonima «vicina al team negoziale» ha precisato alla Agence France-Presse che per la fazione «il governo di Gaza è una questione chiusa, non parteciperà alla transizione, ha rinunciato al controllo ma rimane una parte fondamentale» di questa realtà. Una posizione per essere in linea con l’intesa patrocinata dagli Stati Uniti e dai mediatori regionali.
Tuttavia, ciò contrasta con il rifiuto di disarmare espresso nei giorni scorsi, un no accompagnato dalla possibilità di consegnare i fucili ad un’autorità palestinese. È una fase piena di incognite, molto dipenderà dalle tappe future dell’azione diplomatica.
Interessante, a questo proposito, un’indicazione. Gli egiziani pensano all’invio di 5 mila poliziotti palestinesi addestrati insieme alla Giordania e sono disponibili a partecipare ad un contingente multinazionale avallato dal Consiglio di sicurezza Onu, scenario in apparenza diverso dalla forza di stabilizzazione.
Gli scontri
Ora che arrivano gli aiuti a bordo di centinaia di Tir c’è la necessità di distribuirli ad una popolazione stremata, operazione in un contesto precario: diversi camion sono stati depredati. La consegna del cibo è uno dei ganci per rinsaldare il legame. Difficile pensare che i militanti non cerchino dei varchi. Intanto hanno provato a regolare qualche conto con i clan ribelli e ci sono stati combattimenti con vittime.
La mappa racconta: i seguaci di Hussan al Astal e gli al Majida a Khan Younis, con i primi attestati nel villaggio abbandonato di Kizan an Najar; gli uomini di Yasser Abu Shabab nel settore orientale di Rafah (sud della Striscia) e quelli di Ashraf al Mansi, a Beit Lahiya (nord). Nel sobborgo di Sabra, a Gaza City, agiscono i Doghmush a Gaza City, «famiglia» accusata di aver ucciso il figlio di un alto dirigente ma anche di aver sottratto materiale. Alcuni affiliati sarebbero stati giustiziati in pubblico.
I tunnel
Sono stati ignorati negli interventi pubblici, ma sono ancora lì: i tunnel, la vera arma di Hamas e delle altre «brigate». Non a caso il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha osservato che devono essere distrutti, «direttamente per mano dell’Idf e attraverso il meccanismo internazionale che sarà istituito sotto la supervisione degli Usa».
Quattro punti. 1) Sono gallerie clandestine, vanno individuate: i mujaheddin riveleranno i percorsi rischiando di perdere uno strumento formidabile? 2) Quanti ve ne sono? 3) I cunicoli sono nati per il contrabbando lungo il confine con l’Egitto e solo successivamente sono stati diventati parte del dispositivo di Hamas. 4) Serviranno mezzi adeguati e volontà politica per una missione rischiosa. Molti potrebbero essere protetti da ordigni.
13 ottobre 2025
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