di
Greta Privitera
Parla la madre di uno degli ostaggi che non tornerà vivo da Gaza: «Non è chiaro quando avverrà la consegna, ed è angoscia che si somma all’angoscia»
DALLA NOSTRA INVIATA
TEL AVIV – C’è una lista degli ostaggi vivi, venti. E c’è una lista degli ostaggi morti, ventotto. Se le famiglie dei sopravvissuti si stanno preparando a riabbracciare i loro cari, le altre sono rassicurate dall’idea di poter avere indietro il corpo dei loro figli. Ma la loro non si chiama felicità. «Finalmente abbiamo raggiunto il punto che speravamo», dice Yael Adar al quotidiano israeliano Haaretz. È la madre di Tamir che il 7 ottobre 2023 è stato ucciso mentre difendeva il Kibbutz di Nir Oz.
Quel giorno, i terroristi hanno preso il suo corpo e l’hanno portato al di là della Striscia come bottino di guerra. «Ho combattuto per far tornare Tamir. Alla fine, mi restituiranno una bara, non qualcuno che posso abbracciare o guardare negli occhi. Ora la nostra missione è che venga trovato il prima possibile, per poter iniziare il lutto e affrontare la nostra perdita. Ci aspettano giorni per nulla semplici», continua Adar. Lo dicono tutte le famiglie degli ostaggi non sopravvissuti alla carneficina di Hamas: «Potremo iniziare il nostro processo di guarigione solo quando riavremo i nostri figli qui».
Ma se il ritorno degli ostaggi vivi è dato per certo, quello delle salme potrebbe diventare più complesso perché Hamas ha dichiarato di avere bisogno di tempo per ritrovare tutti i corpi. «Non è chiaro quando accadrà, ed è terribilmente spaventoso e angosciante. Sono felice per gli ostaggi vivi e le loro famiglie, ma non sono in uno stato d’animo felice. Affrontare la verità, la certezza della sua morte, è difficile. Spero solo che Tamir venga trovato presto», ha commentato la donna. «È uno shock dopo l’altro. Abbiamo accettato quello che è successo, ma viviamo ancora nell’incertezza».
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Adar spera che si trovi un equilibrio tra l’eccitazione per gli ostaggi che stanno tornando a casa «e coloro che hanno pagato con la vita. C’è molta morte nell’aria — i soldati, le vittime del 7 ottobre, gli ostaggi assassinati in cattività. C’è molta morte, e dobbiamo ricordarlo in questi momenti di felicità. Abbiamo ancora molta tristezza intorno a noi. È il momento di iniziare a trovare un equilibrio tra la nostra tristezza e la nostra gioia: è il nostro dovere».
Tamir Adar aveva 38 anni, non si è saputo nulla del suo destino fino al 5 gennaio 2024, quando la famiglia è stata informata della sua uccisione. La mattina del 7 ottobre, appena sono giunte le notizie dell’attacco terroristico in corso, Tamir non ha avuto dubbi ed è partito per supportare la squadra di sicurezza locale del kibbutz. Aveva una moglie e due figli. Prima di lasciare la casa, ha detto loro: «Vi prego, rimanete chiusi nella safe room».
13 ottobre 2025 ( modifica il 13 ottobre 2025 | 08:16)
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