di
Davide Frattini
Yahya Sinwar, il pianificatore del massacro del 7 ottobre, fu rilasciato dal governo Netanyahu, insieme ad altri 1026 detenuti, in cambio del caporale Gilad Shalit. Per questo lo Shin Bet era contrario a mandare a Gaza o in esilio all’estero i detenuti rilasciati
DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV – Uno dei 1027 detenuti palestinesi scarcerati in cambio del caporale Gilad Shalit voleva subito farsi riconoscere. Una foto di quell’ottobre del 2011 mostra Yahya Sinwar che tira fuori la testa dalla strettoia tra il finestrino e il tetto del bus militare: sulla fronte la bandana verde di Hamas, in mano il vessillo dello stesso colore, la barba degli islamisti, lo sguardo rabbioso. Gli agenti dello Shin Bet in questi giorni di trattative hanno guardato e riguardato quell’immagine, l’hanno messa sotto agli occhi dei ministri perché cambiassero idea: i servizi segreti erano contrari a mandare a Gaza o in esilio all’estero la maggior parte dei 250 prigionieri che lasciano le carceri lunedì, oltre a 1700 palestinesi catturanti durante il conflitto. Era stato proprio Benjamin Netanyahu, già allora primo ministro, a rilasciare Sinwar, il pianificatore della mattanza del 7 ottobre 2023, eliminato l’ottobre dello scorso anno.
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Gli 007 sostengono — scrive il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth — che potrebbero mettere a disposizione la loro esperienza e il carisma della violenza per aiutare l’organizzazione fondamentalista a riabilitarsi. L’esercito — dicono — non resterà dispiegato per sempre nella Striscia, il rischio è perdere la possibilità di tenerli sotto controllo, sarebbe più facile in Cisgiordania.
Citano il caso di Mahmoud Qawasmeh, anche lui uscito nell’intesa per riavere il caporale Shalit, è stato riarrestato a Gaza durante la guerra. Qawasmeh era stato condannato per il rapimento e l’assassinio di tre giovani israeliani in Cisgiordania: gli omicidi erano stati tra le cause iniziali del confitto tra Israele e Hamas nell’estate del 2014, il più lungo fino a quello di questi ultimi due anni.
Quella che Ron Ben-Yishai, il decano dei commentatori di guerra, aveva chiamato «un’accettabile capitolazione» — il patto Shalit — ha continuato a dividere il Paese. I famigliari delle vittime degli attentati hanno protestato contro Netanyahu che li rimetteva per le strade, anche se quelle polverose di Gaza. Il governo voleva però dimostrare che i giovani soldati, obbligati al servizio militare, non vengono lasciati indietro. Vale ancora di più se i sequestrati da salvare sono soprattutto civili che lo Stato ha il dovere di proteggere come nel caso dei 251 rapiti, tra loro anche stranieri, portati via all’alba del sabato nero di due anni fa.
I parenti aspettano gli ultimi venti tenuti a Gaza da 737 giorni, ne hanno visti i volti emaciati e smagriti nei video diffusi dai carcerieri in una crudele campagna di guerra psicologica.
Fino all’ultimo — rivela la Bbc — ci sono state pressioni per inserire nella lista leader come Marwan Barghouti, considerato dai palestinesi il simbolo della resistenza. Come lui la maggior parte dei 250 è stata condannata per attentati durante la seconda intifada: lo scrittore Basem Khandaqji a tre ergastoli per il coinvolgimento nell’attacco kamikaze al mercato Carmel di Tel Aviv 14 anni fa. Dalla cella ha pubblicato poesie e romanzi. Hamas insiste per ottenere la scarcerazione di capi del Fatah, la fazione avversaria, perché sa quanto la questione dei detenuti tocca la società palestinese: ogni famiglia ha avuto uno o più parenti dietro le sbarre. L’associazione per i diritti umani Addameer calcola che siano in questo periodo oltre 10 mila, tra loro 400 minori e 53 donne.
13 ottobre 2025 ( modifica il 13 ottobre 2025 | 09:31)
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