La nuova guerra culturale americana è servita. The Librarians, il documentario di Kim A. Snyder, titolo di punta del Film Festival dei Diritti Umani di Lugano (FFDUL, dal 12 al 19 ottobre), è un inquieto affresco su quella che pare una battaglia, almeno per noi italiani, di difesa del sano principio democratico della libertà di parola e, ci si permetta, di lettura.

Negli Stati Uniti è roba che gira attorno all’oramai celeberrimo Primo emendamento, nonché ai foschi presagi di censura su servizi e beni pubblici pluralisti. In pratica nel 2021 l’allora deputato repubblicano della Camera dei rappresentanti del Texas, Matt Krause (oggi non più in carica ndr), si è inventato una lista di 850 (!) libri che “potrebbero mettere in imbarazzo o far vergognare qualcuno” a causa di un “linguaggio pornografico o sessualmente esplicito”. Ca va sans dire che nel mirino finiscono alcuni classici come i romanzi di Margaret Atwood, Le regole della casa del sidro di John Irving, ma anche titoli che riguardano tematiche razziste (la storia del Ku Kux Klan, il caso Roe vs Wade) e una vagonata di testi recenti riguardo tematiche LGBTQ+ e transgender (titoli per bambini piccoli tipo Marlon Bundo dove due coniglietti maschi adottano un coniglietto orfano).

Krause dapprima chiede ai distretti scolastici in quali biblioteche si trovano questi testi e quanto sono costati, infine tramite il governatore Abbott, repubblicano anche lui, ne intima l’allontanamento dagli scaffali. Ed è qui che di fondo inizia The Librarians, con le testimonianze delle bibliotecarie che si sono opposte, messe per traverso, che hanno combattuto questo attacco politico che, gratta gratta, dietro alle Moms of Liberty che riempiono di gente le riunioni dei consigli scolastici texani per togliere libri “porno” dalle biblioteche scolastiche in difesa dei figli, sembra organizzato nei minimi dettagli dall’organizzazione conservatrice cristiana Patriot Mobile.

Snyder usa le bibliotecarie (tutte donne, e tutte bianche peraltro ndr) come soggetto politico del racconto, fa incarnare ad ognuna di loro contraddizioni socio-culturali familiari, e grazie al loro impegno etico disegna per riflesso questa sorta di potere sordo e sotterraneo che più che bruciare libri in piazza (bisognerebbe andarci piano sia con i roghi nazisti che con soprattutto il Bradbury di Fahrenheit 451) li fa in alcuni casi mettere nelle scansie più nascoste, in altri li etichetta con la targhetta arcobaleno rendendo predominanti i titoli a sfondo religioso, in altri ancora li copre con grossi cartoni o strisce di divieto. E visto che molte bibliotecarie si oppongono e smerciano libri vietati sottobanco ecco fioccare una massa di licenziamenti, nonché di minacce fisiche e psicologiche, e perfino la messa in discussione della loro preparazione professionale (“sono idonee a scegliere i titoli da far leggere a minorenni in primis bambini?”). La furia censoria ha il suo epicentro in parecchie contee del Texas, ma si è allargata in Louisiana, Idaho e perfino New Jersey dove è stato vietato Lawn boy di Evison, romanzo a sfondo gay.

Certo, le forzature retoriche e storiche alla Michael Moore nel film della Snyder non mancano. Come la frase di Eisenhower sulla libertà di pensiero e lettura che non viene declamata per intero oppure come viene “riassunto” il caso Board of education di Island Tree vs. Pico del 1982 quando la Corte Suprema dovette decidere se il consiglio scolastico potesse vietare La scimmia pensa di Desmond Morris e Mattatoio n.5 di Kurt Vonnegut, ritenuti “antiamericani e osceni”, e scelse sostanzialmente di non decidere con un verdetto ambiguo e in pareggio. The Librarians rimane comunque un lavoro di sfoltente scavo su una questione sociale infiammabile che divide la popolazione statunitense dalla notte dei tempi, una sorta di aggiornamento arcobaleno all’eterna diatriba creazionista da cui tutto negli Usa dipende. Qua e la, del resto, emergono dettagli storico antropologici curiosi, difficilmente incasellabili in un classico scontro novecentesco sinistra/destra, proprio come quando una bibliotecaria per insultare i dirigenti scolastici censori urla ai quattro venti, come un Trump qualsiasi: “Non siamo una nazione comunista”. Tra le produttrici esecutive del film c’è Sarah Jessica Parker.