Vero, ma lasci che sconfini verso aspetti da maniaco della traduzione. A contare c’entra che lui a un certo punto ha deciso di spiccare il grande salto, come altri grandi, penso per esempio a Nabokov, cioè di scrivere in un’altra lingua. Lui ha scelto il francese, ma la sua percezione di quella lingua è sempre stata molto molto singolare. Restava la percezione di uno straniero che, come dire, ha trovato la sua patria in Francia, ma non nella tradizione che a quella lingua fa capo. Di questo ti rendi conto solo se lo traduci. Cioè: riconosci che stai traducendo del francese, ma non uno scrittore francese. Quando leggo Michon avverto alle sue spalle una folla che preme, è la folla della letteratura francese! Dietro Kundera la tradizione che preme è tutt’altra. Il suo francese è un terrain vague, ‘una terra di nessuno’. Lui dice che Stravinskij, quando si è allontanato dalla Russia, ha trovato nella musica la sua patria. Kundera non l’ha trovata nella Francia, ma nel francese. Eppure è più complicato e doloroso di così. Quando tu traduci quel francese sai che sei, rispetto a quella lingua, straniero come lo era Kundera e questo da lettore-traduttore è abbacinante e disorientante insieme.