È morta all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso la neonata che si era aggravata con sintomi di asfissia dopo il parto avvenuto in casa ieri, a Borso del Grappa (Treviso). Ne ha dato notizia l’azienda Ulss 2 della Marca Trevigiana. Il decesso, secondo quanto ha riferito l’Ulss, è avvenuto due ore dopo il ricovero in ospedale, nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Ca’ Foncello. La bambina era venuta alla luce ieri mattina con un parto in ambiente domestico ed era stata colta poco dopo da una crisi dovuta a choc emorragico. L’elisoccorso era stato fatto giungere sul posto dalle ostetriche che hanno assistito la puerpera, figure non appartenenti al servizio sanitario pubblico. Sull’episodio stanno compiendo accertamenti i carabinieri.
La società di Neonatologia: “Non esistono parti a rischio zero”
Sulla pratica del parto in casa, Carlo Dani, del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Neonatologia (Sin) e Direttore Struttura Operativa Dipartimentale Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze, ricorda che non esistono parti “a rischio zero”. “Nel complesso alla nascita il neonato può aver bisogno, per agevolarne la respirazione, di manovre semplici (come massaggiare il dorso del bambino) in circa il 10% dei nati e di rianimazione avanzata (intubazione endotracheale, massaggio cardiaco e somministrazione di farmaci) in poco meno dell’1%”, spiega Dani. “Se selezioniamo le gravidanze a basso rischio queste percentuali scendono al 3-6% dei nati, e a circa uno su mille rispettivamente”. Il rischio più comune che può correre il neonato, spiega, è il danno ipossico-ischemico, o encefalopatia ipossico-ischemica, ovvero un deficit di ossigeno agli organi del bambino specie al cervello. Se la durata dell’ipossia è elevata si arriva al decesso, o se il piccolo sopravvive ci possono essere lesioni cerebrali e danni permanenti, da paralisi a deficit sensoriali, spiega ancora Dani, ricordando che mediamente il parto in casa rappresenta lo 0.5-2% dei casi a seconda delle aree geografiche. In Italia non ci sono dati precisi, ma si stimano circa 500 parti all’anno a domicilio o in casa maternità su un totale di circa 370 mila nati nel 2024. “Partorendo a casa – insiste Dani – rinunci alla possibilità di avvalerti di tutta una serie di esami per valutare eventuali sofferenze del cuore del neonato o alla possibilità di fare immediata rianimazione se necessaria”. “Noi come Sin – ricorda – da sempre esprimiamo il nostro dissenso sul parto a domicilio, ancorché con presenza di personale sanitario qualificato; la Sin ha sempre sostenuto che gli ospedali di oggi non sono più quelli di anni fa in cui il parto era molto medicalizzato, un parto a basso rischio può essere seguito dall’ostetrica, ma se succede qualcosa ginecologo e neonatologo possono intervenire immediatamente, senza medicalizzazione del parto”. È importante l’informazione ai futuri genitori sul fatto che al domicilio non è possibile garantire il massimo della sicurezza, conclude Dani.