di
Piero Di Domenico
La curatrice Villanti: «La sua arte è stata in grado di farsi ponte tra religioni e tradizioni culturali diverse, di interpretare temi universali»
Il pittore che voltava le spalle al futuro. È così che amava definirsi Marc Chagall, Moishe Segal il suo nome ebraico, nato nel 1887 in un piccolo centro bielorusso dell’impero zarista abitato in prevalenza da ebrei. Discendente di una famiglia molto religiosa, il giovane Chagall era un ragazzo affamato di vita che convinse i famigliari a lasciargli intraprendere la carriera artistica. Approdando a 19 anni a San Pietroburgo, per studiare all’Accademia di Belle Arti.
Da allora una vita passata spostandosi spesso, passando anche per Stati Uniti e Francia, il suo Paese d’adozione, dove da giovane era entrato in contatto con le novità più dirompenti delle avanguardie, con Apollinaire, Léger e Modigliani. E dove è morto ormai quarant’anni fa, nel suo buen retiro in Provenza.
Duecento opere tra dipinti, disegni e incisioni
Eppure la pittura di Chagall non ha mai davvero abbandonato il villaggio della sua infanzia, rielaborando spesso con colori vivaci un passato fatto di racconti chassidici, figure popolari della tradizione ebraica, violinisti, mendicanti, animali da cortile, donne in preghiera. Nei suoi dipinti riaffiorano tradizioni russe, riti ebraici e ricordi d’infanzia.
Con uno stile, hanno scritto i critici, lievemente toccato dal cubismo e dal fauvismo del primo soggiorno parigino ma con un carattere favolistico.
Chagall approda ora in mostra a Ferrara, a Palazzo dei Diamanti fino all’8 febbraio, ingresso 16 euro, con 200 opere tra dipinti, disegni e incisioni.
Un artista noto ma con tanti lati da indagare per la sua estrema libertà, confermata da una osservazione che amava ribadire spesso: «I profani sono i miei critici migliori. L’arte, mi sembra, è innanzitutto uno stato d’animo: la mia è forse un’arte insensata, un mercurio fiammeggiante, un’anima azzurra, zampillante sulle mie tele. Non voglio essere spiegato».
È stato un eccezionale cronista del ‘900
Chagall è stato un eccezionale cronista del ’900, sottolinea Francesca Villanti, curatrice della mostra con Paul Schneiter: «La sua arte è stata in grado di farsi ponte tra religioni e tradizioni culturali diverse, di interpretare temi universali come l’identità, l’esilio, la spiritualità e la gioia di vivere.
Nella bellezza e nella delicatezza delle sue opere si cela una grande complessità. Nonostante sia già molto apprezzato e conosciuto, è un artista del quale si può ancora scoprire molto, ed è questo che vogliamo condividere con studiosi e pubblico, una proposta accattivante ma anche approfondita».
Per questo la mostra proposta da Arthemisia e Ferrara Arte prevede anche due sale immersive, dove scoprire alcune creazioni monumentali. Volti scissi, profili che si moltiplicano e ritratti che si specchiano per affrontare il tema del doppio, che gli stava particolarmente a cuore.
E poi amanti volanti, animali parlanti, bouquet esplosivi, case inclinate, in stretta connessione con le sue radici — la vita nel villaggio, la cultura ebraica, l’amore per la madre e per la prima moglie Bella — ma con un linguaggio capace di parlare a tutti. Nutrendosi anche delle favole di La Fontaine, di Gogol o della Bibbia, per tutta la vita uno dei temi favoriti. Chi volesse poi scoprire anche lo Chagall mosaicista, al Mar di Ravenna il 18 ottobre si aprirà la mostra «Chagall in mosaico».
Vai a tutte le notizie di Bologna
Iscriviti alla newsletter del Corriere di Bologna
12 ottobre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA