L’ultimo volume del salesiano raccoglie una serie di riflessioni spirituali maturate nel contesto di omelie e ritiri. L ’autore ci invita a intraprendere un cammino interiore scandito dai tempi dell’anno liturgico
Simone Caleffi – Città del Vaticano
“L’anno giubilare che stiamo celebrando è certamente contrassegnato dall’affermazione della Virtù della Speranza, come caratteristica da fare nostra, e dall’atteggiamento dei pellegrini con un bagaglio leggero, che anelano vedere la Terra Promessa”. Il salesiano don Giuseppe Costa, nel suo ultimo libro intitolato Pit stop per lo Spirito. Riflessioni religiose (Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma, 2025, pagine 76, euro 10) offre al lettore, dopo un’introduzione, cinque omelie che contengono diversi spunti di meditazione, anche per il tempo che il cristiano sta vivendo oggi. Lo stesso Enzo Romeo, curatore della prefazione, afferma: “se si recupera il senso del nostro fare, e ancor prima del nostro essere, allora non perderemo la speranza.
Il significato di speranza
Costa riprende la famosa immagine delle virtù teologali offerta da Péguy, dove la più piccola delle tre – la Speranza, appunto – prende per mano le due sorelle maggiori (Fede e Carità) e le fa andare avanti. A ogni virtù l’autore abbina un sostantivo: fede = collaborazione; speranza = costruzione; carità = promozione. Pur non essendoci una graduatoria (tutte le virtù sono importanti e interconnesse), in questo nostro cambiamento d’epoca – così definito tante volte da Papa Francesco – si è chiamati soprattutto a essere costruttori e dunque donne e uomini di speranza, che ritengono che valga la pena spendere energie per edificare un futuro migliore”. E’, infatti, la quarta omelia, intitolata “Una speranza nel cuore”, ad attirare particolarmente l’attenzione di chi legge, soprattutto quando il noto salesiano ricorda che “la Virtù della Speranza è stata considerata, quasi sempre, nell’immaginario e nella pratica spirituale dei credenti, una piccola virtù, quasi inutile e astratta rispetto alla Fede e alla Carità”. Per confutare tale tesi, è proprio qui che l’autore cita “il poeta Charles Péguy”, che nel suo celeberrimo poema Il Portico del Mistero della seconda virtù, canta felicemente il significato della speranza: “la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce (…) la Speranza è una bambina da nulla”.
Il senso del Giubileo
Da questo stupefacente nulla, Papa Francesco ha voluto trarre il tema del presente Giubileo. Esso, dice Costa, “offre a tutta la comunità, non solo ecclesiale, ma anche sociale e culturale, un invito a ripensare non solo il contenuto della Speranza, ma la stessa realtà storica nella quale si è chiamati ad essere pellegrini”. Infatti, “in questa prospettiva la virtù della Speranza da teologale ed etica diventa storica”. Difatti, “essere pellegrini della Speranza non riguarda l’acquisizione di una professionalità, ma la scoperta che senza la soggettività storica dell’uomo non ci sarebbe una realtà storica né ecclesiale né sociale”. Anche portando la seconda virtù teologale su questa via, si può affermare, come quando la si considera in se stessa, che insieme alle altre due formi come una “pericoresi”. L’ex direttore della Lev (Libreria editrice vaticana) scrive, infatti: “conservando e potenziando il legame inscindibile con le altre due virtù teologali, spetta però alla Virtù della Speranza il compito di orientare l’esistenza umana verso il concreto storico, come ha ricordato Papa Francesco”. Dunque, nella logica della somiglianza, dove i caratteri sono in parte uguali e in parte diversi, ciò che differenzia la speranza dalle altre virtù è che essa “indica e sostiene il cammino della storicità dell’uomo chiamato ad essere protagonista della costruzione della realtà storica”.