di
Federica Vivarelli

L’attore ricorda i set delle commedie sexy anni ‘70 e replica alla critica di Edwige Fenech: «Non potevamo opporci, ma il pubblico ci diede ragione»

Pippo Franco ha compiuto 85 anni un mese fa, eppure basta il suo nome per ricordare l’Italia dagli anni ‘70 agli anni ‘90: il Bagaglino, le commedie sexy, gli spettacoli o «Chì chì chì cò cò cò». Oggi le apparizioni di Pippo Franco si contano sulla dita di una mano, i suoi social sono fermi al 2022, l’ultima intervista risale al 2023. 

Era un’Italia poetica

E parlando di anni, Pippo Franco non ha dubbi: «Era un’epoca (dal 1970 al 1990, ndr) in cui tutte le nazioni, ma l’Italia in particolare, erano poetiche. Poi piano piano ha cominciato a subentrare la vita esteriore, adesso è diventata un’esistenza basata sugli aperitivi. Allora vivevamo di una creatività che era esplodente. Si facevano 200 film l’anno in Italia, italiani ed erano importanti anche per il resto del mondo» racconta il comico. Ogni sua parola è controllata, la voce è inconfondibile: intonazione nasale, forte accento romano, tono scherzoso anche quando l’argomento è serio. 



















































«Ubalda, grande successo»

Riflette a lungo prima di rispondere. Anche a proposito della battuta di Edwige Fenech, che di recente ha dichiarato «Quel gran pezzo dell’Ubalda? Il titolo peggiore della mia carriera», a proposito dei film sexy all’italiana. «Eppure Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda quando è uscito ha avuto un successo assolutamente straordinario. Ma le cose sono andate diversamente – spiega Franco, che ci tiene a nominare i titoli tutti per intero -. Il film in realtà aveva un altro titolo, e il produttore che era Luciano Martino lo ha cambiato all’ultimo momento. Noi ce ne siamo accorti quando è uscito il film. Non potevamo fare nulla, neppure reclamare all’ultimo. Ma ha avuto ragione lui. Il successo di quel film è stato assolutamente esplodente».

«Giovannona coscialunga»

Dopo l’Ubalda, è arrivato il turno di «Giovannona coscialunga disonorata con onore. Abbiamo inaugurato quel genere, che poi non aveva nulla di grave – continua Franco -. Magari si vedeva qualche seno, adesso farebbe ridere con tutto quello che è successo allora. Se condivido il pensiero della Fenech? Ha vinto l’originalità». 

I titoli lunghi

D’altronde «c’era la moda di mettere i titoli lunghi. Era anche un film basato sul Boccaccio. E poi era il nostro modo di essere. Per esempio io cambiavo la mia parte: dovevo far ridere, perché era quello che il pubblico si aspettava da me. Quindi d’accordo con il regista riscrivevo le mie parti, non toccando nulla delle parti della Fenech – continua l’artista -. Lei si preparava molto bene, perché in verità nessuno imparava a memoria, si usavano i gobbi e lei era bravissima. Imparava tutto a memoria».

Il rapporto con Torino

Le foto della Fenech in questi giorni sono esposte a Torino per la mostra Pazza Idea. Oltre il ’68: icone pop nelle fotografie di Angelo Frontoni, fino al 9 marzo al Museo del Cinema. «Tutto mi collega a Torino, perché mia moglie è torinese (l’attrice Piera Bassino, ndr). I miei figli quindi un po’ di sangue torinese ce l’hanno. Ho anche le mie cognate. Veniamo spesso lì, abbiamo legami profondi. Abbiamo avuto una casa e poi l’abbiamo rivenduta in via Garibaldi». A proposito di Torino, «quello che mi piace è il cioccolato. E le chiese. La cucina? Ormai le cucine si somigliano un po’ tutte, non è più come una volta – conclude Pippo Franco -. Devi andare al Cambio per trovare qualcosa. Il cibo torinese ormai è uguale a quello romano, è tutto unificato». 


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14 ottobre 2025 ( modifica il 14 ottobre 2025 | 12:56)