di
Mario Platero
Per i Paesi del Golfo, dice il presidente Usa, «investire nella ricostruzione è una virgola delle risorse disponibili»
Da buon uomo d’affari, Donald Trump, dietro la gigioneria, l’equilibrismo perenne tra il serio e il faceto, la battuta in apparenza casuale, ha posto nel suo storico viaggio in Medio Oriente un’alternativa che sulla carta pare irrinunciabile: meglio la guerra o lo sviluppo economico? Dietro ogni sfumatura, minaccia, lusinga, riferimento, in particolare nel suo discorso alla Knesset, c’era sempre un riferimento a quanto tutto nelle prospettive per la regione sia legato al doppio filo della finanza, dell’investimento, della ricchezza.
La promessa di «un’età dell’oro» per il Medio Oriente non è solo retorica a effetto o a buon mercato. Da una parte ci sono la tecnologia, il know-how e l’imprenditoria di Israele dall’altra ci sono le risorse finanziarie dei paesi del Golfo per sfruttarle. Un progetto che dunque guarda ben oltre Gaza. Guarda piuttosto a quella fase chiave per lo sviluppo economico di Paesi arabi ricchi che vogliono cambiare timbro, investire nella loro economia, nelle loro infrastrutture, nelle loro aziende, invertendo quel flusso che li vede soprattutto come investitori all’estero. Con un’ambizione aggiuntiva: diventare magneti anche per investimenti stranieri nella regione.
Che si trattasse di una combinazione vincente lo si diceva dai tempi degli accordi di Abramo. Da allora però, ci troviamo già molto più in avanti rispetto alla percezione comune: l’intreccio tra israeliani e le loro tecnologie creative e le inesauribili risorse finanziarie alla continua ricerca di investimenti produttivi soprattutto nei paesi del Golfo è già fortissimo.
Con le nazioni che hanno già firmato gli accordi di Abramo, come gli Emirati Arabi, ma anche tra quelli che devono ancora firmare, come l’Arabia Saudita l’interesse ad ampliarlo è forte. E anche se Riad ha avuto qualche problema di budget, stiamo comunque parlando di cifre perfettamente digeribili. «Per loro investire nella ricostruzione è una virgola della loro risorse», ha detto infatti il presidente americano. Col suo fare che pare sempre un po’ improvvisato Trump ha dunque già messo sul tavolo l’enorme progetto regionale e quello per la ricostruzione di Gaza, con la supervisione egiziana e la possibilità per tutti – Italia inclusa, rappresentata dalla premier Giorgia Meloni – di partecipare. La stima degli investimenti necessari per ricostruire, ma in modo intelligente e con strutture che possano avere un impatto sull’economia, ad esempio strutture alberghiere, secondo la Banca Mondiale supera i 53 miliardi di dollari.
Ma veniamo ai progetti, alcuni interrotti per via della guerra a Gaza altri rimasti invariati. L’UAE, ad esempio, che firmò gli accordi di Abramo nel 2020 non ha interrotto l’interscambio commerciale con Israele. Se dimostranti italiani chiedevano un boicottaggio del commercio con Israele (navi bloccate nei porti etc.), nella regione si e’ data la misura di quanto importante fosse continuare nel processo di integrazione, per cui l’anno scorso l’anno scorso l’interscambio fra Israele e UAE non solo e’ rimasto aperto ma e’ aumentato dell’11% a quota 3,2 miliardi di dollari. Su altri fronti l’UAE, nazione illuminata e motore di un processo di pace aperto con Israele, ha preferito fermarsi.
La BP e l’emiratina ADNOC avevano raggiunto un accordo per acquistare il 50% dell’israeliana NewMed Energy che gestisce enormi giacimenti di gas nel Mediterraneo Orientale. L’affare da due miliardi di dollari e’ stato congelato perche’ chiudere un nuovo affare molto importante con Israele mentre erano in corso i bombardamenti a Gaza per l’UAE avrebbe generato imbarazzo. Questo pero’ e’ un esempio di un accordo che potrebbe essere rivitalizzato se il processo di pace procedera’ secondo i piani. È rimasto invece invariato un accordo con l’Egitto: NewMed e Chevron hanno siglato una join venture per sfruttare i giacimenti di gas dei campi Leviathan ed esportare a partire dal 2029 e per i successivi 15 anni 35 miliardi di dollari di gas naturale in Egitto, si tratta del piu’ importante accordo di esportazione mai firmato da Israele. Come si vede gli interessi strategici assumono dimensioni troppo importanti per essere cancellati, ignorati o archiviati. Il Marocco, anch’esso firmatario degli accordi di Abramo. Uno dei pochi paesi arabi che ha accettato di avere una comunita’ ebraica, ha invece acquistato droni militari israeliani molto duttili ( possono attaccare, spiare, compiere soprallievi) e con un raggio d’azione fino a mille chilometri. Un importante rafforzamento delle forze aeree marocchine con un investimento pari a 120 milioni di dollari. Il New York Times rileva anche come il recente accordo da molti miliardi di dollari tra gli Emirati e aziende tecnologiche americane (Oracle, Nvidia Open AI etc.) per la costruzione di un data center per l’intelligenza artificiale avra’ importanti ricadute sul settore tecnologico israeliano fra i piu’ avanzati al mondo.
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Una dimensione strategica sul piano economico nel rapporto Israele paesi arabi, che potra’ soltanto crescere, per questo, forse non è un caso se il «gruppo per la pace» che dovrà gestire la ricostruzione e la tregua, Trump lo ha chiamato «board», «Peace board» termine piu’ simile a un «consiglio di amministrazione» che a un «consiglio di pace» politico. E non è un caso che l’intero gruppo di Paesi arabi abbia aderito con entusiasmo al piano di pace di Trump: hanno già perso tre anni in quel che doveva essere un progetto di crescita virtuale, non potevano permettersi di perderne altri per la follia dell’attacco del 7 ottobre dei terroristi di Hamas manovrati dall’Iran il cui grande obiettivo parallelo alla destabilizzazione politica era quello di rallentare l’avanzata economica del «nemico» saudita.
Nel suo storico viaggio in Medio Oriente il presidente ci ha dato anche qualche notizia. Partiamo dalla sua amica Miriam Adelson, vedova del leggendario Sheldon, fondatore della Sands Corp, una catena di alberghi e casinò che domina soprattutto a Las Vegas, era anche lei al Parlamento israeliano. Adelson è vicina a Gerusalemme, ha 80 anni ma ne dimostrava 50. La notizia di Trump? Il presidente americano ha detto che il patrimonio della signora è pari a 60 miliardi. «Anzi – avete sentito? Dice anche di più!» ridacchiava il presidente. In altri tempi e per altri statisti, sarebbe stato impensabile fare i conti in tasca alle persone in un discorso di respiro storico, ospiti di un Parlamento straniero, alla fine di una guerra e nella solennità per la liberazione di ostaggi. Generalmente dominavano citazioni e riferimenti a valori e tradizioni comuni.
Trump ha in effetti citato Abramo, Isacco e Giacobbe, padri comuni del monoteismo, ma ci ha anche detto che la signora Adelson vale molto più dei 40,5 miliardi di dollari stimati lo scorso agosto e che dunque si trova molto più in alto del 48esimo posto fra i più ricchi del mondo, forse più vicina al 21esimo posto. Per lei investire in un complesso alberghiero a Gaza e contribuire a rilanciare l’economia locale (chissà perché poi l’idea di un rilancio turistico di Gaza è stata accolta come un volgare insulto) sarebbe un gioco da ragazzi.
Ma Trump è andato oltre nelle sue rivelazioni economiche: ci ha dato notizia che, grazie al successo del bombardamento dei siti nucleari iraniani, ha ordinato altri 28 nuovi bombardieri B2. «Più avanzati di quelli che hanno condotto la missione contro gli impianti per l’arricchimento dell’uranio in Iran». E visto che ognuno di quei bombardieri costa 2,1 miliardi di dollari ha dato nei fatti notizia di un investimento pari a 60 miliardi di dollari per il Pentagono di cui il grande pubblico non sapeva nulla. Cosa che deve aver fatto scattare non pochi campanelli d’allarme a Mosca.
Sempre casualmente ha messo l’Iran davanti a un’ alternativa: cosa preferisce Teheran, essere parte di questo nuovo ciclo virtuoso che prevede pace, prosperità e sviluppo economico marcato, aggressivo e rapido o esserne fuori? «Se vogliono sopravvivere» è meglio che ascoltino, ha aggiunto come «incentivo» esplicito il Presidente. Questo ottimismo economico poggia su un presupposto: che la pace avanzi secondo le dinamiche previste dagli accordi preliminari annunciati da Trump. Molti analisti politici hanno espresso dubbi, si tratterà di capire se davvero Hamas rinuncerà alle armi e, in caso contrario, se Israele tornerà ad attaccare.
L’equazione sviluppo economico=pace, enunciata da Trump, è, tuttavia, come abbiamo visto, già in stato avanzato. Le pressioni perché si rafforzi sono diffuse. Non dimentichiamole, perché queste pressioni saranno un elemento in più da aggiungersi a quelle militari e politiche per capire se davvero le promesse, l’ottimismo, la gioia che tutti abbiamo condiviso ieri potranno contare sulle solide fondamenta che ci ha promesso il presidente americano.
14 ottobre 2025 ( modifica il 14 ottobre 2025 | 18:32)
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