Dopo le riflessioni senili del Vecchio al mare, Domenico Starnone mette al centro di Destinazione errata (Einaudi 2025, € 17,50) una situazione diversa e perfino opposta. Stavolta la vita che si racconta non è la rielaborazione di un ricordo né scorre in mezzo a lontane memorie, riattivate da qualche inattesa scintilla. L’agire e il patire, che sono il contrassegno dell’esistenza, rientrano in gioco prepotentemente nella trama di questa rinnovata esperienza. Equilibri apparentemente consolidati vacillano sotto i colpi del caso e la frenesia irrompe con la rudezza dei suoi assalti.
La scintilla che avvia la trama di un sofisticato e appassionante congegno narrativo nasce da un banale disguido. Il protagonista maschile, scrittore di sceneggiati televisivi, invia per errore alla collega con cui lavora un messaggio indirizzato alla moglie: «Ti amo». Un gesto involontario che potrebbe essere l’origine di una gag, e invece, innesca un processo tellurico e mette in moto reazioni inattese. Prima che un altro messaggio annulli quello precedente, arriva una risposta velocissima, che dichiara la condivisione del medesimo sentimento. La destinazione errata mette in moto una catena di effetti, che il personaggio ricostruisce da un venerdì a un sabato nella forma di un racconto in prima persona.
L’io che scrive scava dentro la matassa dei suoi sentimenti. Ne definisce l’irresolutezza, l’ambivalenza, il rischio di perdere il proprio equilibrio, la necessità di assecondare l’impulso e l’esigenza di resistere. Niente più resta come prima. Mentre le voglie del corpo si accendono, le sicurezze dell’anima si destabilizzano e ogni cardine dell’esistenza ordinaria vacilla. La consapevolezza di essere amato attiva due atteggiamenti complementari. Da una parte spinge a osservare meglio la persona che si ha di fronte, diventata all’improvviso interessante: «Nuova mi risultò lei, in maglioncino bianco, gonna scura, capelli tenuti su con bei fermagli, un buon profumo che forse era il suo di sempre ma a cui feci caso per la prima volta».
Dall’altra parte, una sensibilità inedita innesca un altro processo, che riguarda la forza dell’eros. L’amore confessato smuove l’immaginazione, eccita il desiderio, lo alimenta. La fantasia coltiva i suoi fantasmi e se ne nutre con un compiacimento voluttuoso fino ai dettagli: «dovetti constatare che per la prima volta pensavo alla mia compagna di lavoro mentre dormiva. La immaginai a letto, ma non in pigiama e nemmeno in camicia da notte. Mi venne in mente col cappotto, gli scarponi, il metallo alle orecchie, i capelli sparsi sul cuscino. E quell’immagine, invece di farmi ridere, mi emozionò, mi coinvolse. Toglierle le scarpe, sfilarle piano piano il cappotto mentre dormiva, scoprirla, esaminarla, apprenderla, comprenderla».
La voluttà attiva scenari non più cancellabili. «La gioia dello sconfinamento» rigenera i pensieri e i sensi. Minaccia i vincoli di un’unione familiare apparentemente appagante, garantita da una moglie ineccepibile e allietata da tre figli. La furia che si è accesa impedisce di tornare indietro: «se ora avessi detto a Claudia: sì, ho scritto ti amo ma credevo di scrivere a mia moglie, e lei naturalmente, a sentirmi, mi avesse sibilato non ti voglio vedere mai più, un deserto polveroso mi si sarebbe allargato nel cervello, cosa che non avrei sopportato nemmeno per un minuto». Questo groviglio di reazioni e di emozioni contraddittorie suggerisce a chi scrive un dubbio inatteso. La dichiarazione d’amore, che era sembrata un errore beffardo, potrebbe avere una causa più complessa. Non sarebbe l’effetto di un momento confuso, ma esprimerebbe una verità nascosta nel sottosuolo della coscienza: «forse dovevo ipotizzare – pur avendo dato sempre poco credito al pozzo nero dell’inconscio – che in qualche pezzetto malconcio del cervello mi si era annidata la voglia di scrivere ti amo e sbagliare destinataria».
Descrivere gli impulsi di questa potenza nascosta, che influenza la vita oltre la ragione, è di fatto il tema del grande romanzo di Starnone. In uno dei suoi passaggi un vecchio scrittore confessa che scrivere per lui significava «ormai ingannare il tempo sgualcendo ideuzze con parole insoddisfacenti». Contrapposta a queste ideuzze e parole insoddisfacenti, egli identifica un’altra direzione, che costituisce l’obiettivo di un narratore autentico: «Osservava parenti, conoscenti o anche solo passanti, deduceva dalla loro vita palese quella segreta, e via a scrivere cercando di essere fedele alla loro realtà». Ritrovare la vita segreta, che pulsa sotto la vita palese, raccontarla con le parole e con la sintassi adeguate, è l’obiettivo a cui tende questo romanzo. E non sorprende che chiuda la vicenda arrestandosi dinanzi all’enigma del possibile, che avvolge ininterrottamente l’esistenza.