Si è parlato più volte in queste ultime settimane di un possibile accordo con le banche, e piano piano, da quella che inizialmente sembrava quasi una fantasia, è un’idea sempre più tangibile e che sta prendendo forma.
Tutto nasce dal fatto che mancano ancora i soldi per chiudere la Manovra 2026. Il Governo ne cerca circa 4,5 miliardi e li sta chiedendo alle banche. Come? Non con una nuova tassa sugli extraprofitti, troppo rischioso sul piano politico (Forza Italia è già sul piede di guerra, giù le mani dalle banche), ma con un accordo fatto a tavolino.
La proposta è questa: le banche possono liberare parte delle riserve accantonate nel 2023 e versarle allo Stato, pagando un’imposta ridotta (circa il 26%). In cambio, niente tasse extra e la possibilità di dire che si tratta di un contributo volontario.
Tecnicamente non è una forzatura, ma a questo punto non è nemmeno del tutto opzionale. Senza quei soldi, la copertura per Irpef, sanità e famiglie non regge.
Una Manovra ancora aperta e il nodo delle coperture
Le misure previste nella Legge di Bilancio restano legate a una variabile che pesa più delle altre: il contributo delle banche. È da lì che il Governo conta di ottenere circa 4,5 miliardi, ma l’intesa non è ancora definita.
Il comitato esecutivo dell’Abi ha esaminato le proposte tecniche elaborate dal Mef. Lo schema, per ora, si muove su due direttrici:
- riduzione dell’aliquota sulla tassa sugli extraprofitti, dal 40% al 26%;
- tassazione dei dividendi distribuiti agli azionisti, sempre con aliquota al 26%.
La combinazione dovrebbe portare a circa 2,8 miliardi:
- 1,6 dalle riserve accantonate nel 2023;
- 1,2 dai dividendi.
A completare il pacchetto, ci sarebbero 1,3 miliardi derivanti dal rinvio delle deduzioni sulle imposte differite attive, misura già concordata un anno fa. Questo vuol dire che lo Stato incassa subito i soldi ma chiede alle banche di rimandare l’uso dei loor crediti fiscali. L’intera operazione permetterebbe allo Stato di incassare senza forzature e agli istituti di credito di restare dentro i margini.
Il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, ha ricordato che il settore non si è mai sfilato davanti a richieste di tipo solidaristico. Il resto dipenderà da come andrà avanti la trattativa. Per ora, ancora nulla è deciso.
La trattativa sul contributo straordinario delle banche va avanti da settimane, senza una direzione chiara. Il Governo cerca almeno 4,5 miliardi, come abbiamo accennato, ma non riesce a trovare una formula che tenga insieme le esigenze di cassa e la tenuta del rapporto con le banche. Da qui si apre un negoziato lungo, incerto, che riflette una difficoltà più ampia: costruire una politica economica stabile, senza affidarsi a misure occasionali o a richieste una tantum.
Lunedì sera, il comitato esecutivo dell’Abi ha confermato la disponibilità a proseguire con i versamenti pluriennali al bilancio dello Stato, sul modello dell’intesa del 2024.
La posizione dei partiti di maggioranza
Una posizione che trova sponda in Forza Italia, storicamente contraria ai prelievi sul settore bancario. Il partito ha ribadito che non voterà alcuna norma che riproponga una tassa sugli extraprofitti. Piuttosto, insiste su accordi negoziati, protetti dal consenso degli istituti.
La distanza tra alleati, però, resta. La Lega punta a un contributo più ampio, almeno 5 miliardi. Le banche, dal canto loro, non scoprono le carte: confermano solo la disponibilità a mantenere lo schema già visto, senza sbilanciarsi sulle cifre.
Sul piano tecnico, il Mef lavora a una soluzione che renda obbligatorio il versamento, senza presentarlo come una tassa. Forza Italia e l’area liberale frenano. A pesare non è solo la linea politica, ma anche l’influenza diretta di realtà come Mediolanum, vicina al partito. Insomma, come ha ribadito Giorgetti, la Manovra è ancora “aperta”, nel senso che ora tutto dipende dalle banche.