Questo Scrittori non si nasce, libriccino prezioso che raccoglie le riflessioni di Giuseppe Pontiggia sull’arte indefinibile della scrittura, potrebbe essere letto in sequenza, pagina dopo pagina, oppure in modalità random, stile Libro delle risposte, tanto è denso e ricco di spunti. E bene ha fatto la casa editrice Bibliotheka ad accoglierlo nelle sue Formiche, una collana che riserva sempre sorprese appassionanti. In questo caso, lo scrittore e critico illustra quello che per lui significa essere scrittori, attingendo alla sua vasta erudizione, alle sue ampie letture – che, citate nel testo, costituiscono di per sé un valido aiuto -, e alla propria esperienza di autore di romanzi di successo, che l’hanno portato non solo ad avere un seguito di fedeli lettori, ma anche a ottenere premi prestigiosi, tra cui, nel 1989, lo Strega.

Potremmo anzi dire che ci sono più verità nella sessantina di pagine dedicate alle due brevi lezioni qui pubblicate, che nei troppi manuali di scrittura creativa che affollano le librerie di tutto il mondo; perché Pontiggia svela, con ironia pacata e acume, alcune sfumature della complessa arte narrativa che rischiano di sfuggire alla logica consumistica di certa letteratura usa e getta. Le due lezioni, Scrivere: modi, problemi, aspetti, del 1986, e Il linguaggio della narrativa, del 1988, dimostrano l’eterna attualità dei consigli dello scrittore comasco, ponendo l’accento sulla responsabilità dello scrittore, richiamandolo alla cura formale, ma anche all’abbandono all’ispirazione, che non deve però essere mai scisso dall’organizzazione della materia narrata e dalla precisione linguistica, per raggiungere una “carica evocativa” massima, che avvince il lettore e facilita il passaggio del messaggio dall’ autore al pubblico.

Se da un lato Pontiggia spinge lo scrittore a “non pensare poi tanto, prima di scrivere”, lo invita dall’altro a rivedere più volte quanto scritto, e se necessario “interrompere, lasciare decantare la pagina”; e se ne capisce il motivo profondo. In un mondo letterario, come quello degli anni Ottanta, che – anticipando le tendenze imperanti odierne – cercava di complicare la narrazione con strati sovrapposti di significati, citazioni, riferimenti, secondo la moda postmodernista, oppure di semplificare la pagina in uno spontaneistico culto dell’autoreferenzialità, la misura del critico suggeriva, e suggerisce tuttora, un’attenzione estrema per la parola e per la retorica intesa in senso alto, come uso consapevole degli artifici migliori per raggiungere l’intenzione comunicativa.

“Scrivendo si diventa anche imbecilli, si diventa un po’ ottusi. Io ho notato che nei dialoghi si finisce, cercando la naturalezza, per diventare molto artificiosi”: altra perla di saggezza che attraversa, come moltissime altre, questi decenni, per arrivare intatta fino a noi, con tutta la sua attualità e verità. Del resto, Scrittori non si nasce; ma Pontiggia è stato, ed è ancora, grande scrittore.

Giuseppe Pontiggia (1934-2003) pubblica nel 1959 il suo primo romanzo autobiografico La morte in banca (ora Oscar Mondadori 2003). Consulente delle case editrici Adelphi e Mondadori, si dedica alla saggistica e alla critica letteraria. Vince il Premio Strega nel 1989 con La grande sera (Mondadori 1995), il Super Flaiano nel 1994 con Vite di uomini non illustri (Mondadori 1993), il Premio Chiara alla carriera nel 1997 e il Premio Campiello, il Premio Società dei Lettori e il Pen Club nel 2001 con Nati due volte (Mondadori 2002), un romanzo tradotto in molte lingue e che ha ispirato il film Le chiavi di casa di Gianni Amelio.