di
Alessandra Muglia
L’isrealiano Yuval Abraham del film premio Oscar è stato il primo a dare notizia dell’uccisione. Aveva già riferito dell’attacco all’altro regista palestinese. Dalla denuncia di apartheid alla Berlinale ai moniti contro Europa e Usa
E’ stato l’israeliano Yuval Abraham, co-regista del documentario premio Oscar «No Other Land», a dare per primo la notizia: «Un colono israeliano ha appena sparato ai polmoni di Odeh Hadalin, un attivista straordinario che ci ha aiutato a filmare “No Other Land” … Eccolo nel video mentre spara a raffica» ha postato su X questo trentenne, cresciuto a Gerusalemme, in una famiglia segnata dall’Olocausto in quella che appare come l’ultima denuncia pubblica del giornalista diventato regista impegnato dopo il suo primo viaggio a Masafer Yatta, un agglomerato di villaggi sotto Hebron, al confine sud della Cisgiordania.
Quando si recò per la prima volta su queste colline, cinque anni fa, Abraham non aveva intenzione di girare un film. Voleva soltanto raccontare, da reporter, in ebraico, al pubblico israeliano, le demolizioni quotidiane di case palestinesi in quell’area dichiarata zona militare da Israele. Decisivo l’incontro con Basel Adra, un coetaneo attivista palestinese che documentava la distruzione della sua comunità. Sono diventati amici e, insieme all’israeliana Rachel Szor e al palestinese Hamdan Ballal, hanno deciso di realizzare un film che potesse raggiungere cuori e menti: le riprese sono durate 5 anni (si sono concluse a ridosso dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023) e hanno documentato le operazioni di espulsione forzata degli abitanti di Masafer Yatta da parte dell’esercito israeliano, gli abusi subiti dalla comunità palestinese nei territori occupati e la distruzione delle case.
L’uscita di No Other Land, soprattutto dopo la notorietà conquistata con l’Oscar, sembra aver portato a un aumento degli attacchi nella zona da parte dei coloni, accusati di agire con la complicità dell’esercito israeliano. La voce di Abraham non ha smesso di farsi sentire: il video postato ieri è soltanto l’ultima di una serie di denunce.
22 febbraio 2024, dalla Berlinale l’appello «stop apartheid»
Il 22 febbraio 2024 sul palco del Festival di Berlino, durante la cerimonia di premiazione, Abraham ha apertamente criticato il sistema israeliano: «Siamo qui ora di fronte a voi, io e Basel, e abbiamo la stessa età. Io sono israeliano, Basel è palestinese. E tra due giorni torneremo in una terra dove non siamo considerati uguali. A differenza di Basel io non vivo sotto una legge militare. Viviamo a 30 minuti di distanza, ma io ho diritto di voto, Basel no. Sono libero di muovermi dove voglio in questa terra, mentre Basel, come milioni di palestinesi, deve starsene rinchiuso in Cisgiordania. Questa situazione di apartheid, questa ingiustizia deve finire».
Monito ai politici tedeschi: così mettete in pericolo la nostra vita
All’indomani del suo discorso a Berlino, bollato come «antisemita» da diversi esponenti politici tedeschi, Abraham si è visto costretto a cancellare il suo volo di ritorno per le numerose minacce di morte ricevute, mentre la sua famiglia è stata obbligata a fuggire dalla propria abitazione: «Questa mattina hanno bussato a casa dei miei genitori in Israele e un gruppo di estrema destra li ha minacciati, sono stati costretti a trasferirsi in un’altra città per motivi di sicurezza». «Essere sul suolo tedesco come figlio di sopravvissuti all’Olocausto e chiedere un cessate il fuoco e poi essere etichettato come antisemita non solo è oltraggioso, ma mette anche letteralmente in pericolo le vite degli ebrei». E ancora in un post: «Poiché mia nonna è nata in un campo di concentramento in Libia e la maggior parte della famiglia di mio nonno è stata uccisa dai tedeschi durante l’Olocausto, trovo particolarmente scandaloso che i politici tedeschi nel 2024 abbiano l’audacia di usare questo termine – «antisemita», ndr – contro di me in un modo che mette in pericolo la mia famiglia. Ma soprattutto, questo comportamento mette in pericolo la vita del co-regista palestinese Basel Adra, che vive sotto un’occupazione militare circondata da insediamenti violenti a Masafer Yatta».
2 marzo 2025, il discorso per l’Oscar, critica agli Usa
Mentre veniva premiato con l’Oscar a Los Angeles, il documentario non era distribuito negli States. Nel suo discorso, un nuovo appello-denuncia di Yuval Abraham: «Abbiamo fatto questo film, palestinesi e israeliani, perché insieme possiamo essere una voce forte. La distruzione di Gaza deve finire. Gli ostaggi devono essere liberati. Quando vedo Basel, vedo mio fratello, ma viviamo in un regime in cui io sono libero e lui non lo è. C’è una soluzione politica che non prevede la supremazia etnica, che può riconoscere i diritti di tutti. La politica estera di questo paese, gli Stati Uniti, sta ostacolando questa strada. Perché? Siamo tutti interconnessi»
24 marzo, l’aggressione del co-regista palestinese
Il 24 marzo scorso il regista palestinese Hamdan Ballal è stato aggredito violentemente da coloni israeliani, poi rapito dall’esercito e rilasciato solo dopo una forte pressione internazionale. A denunciare tempestivamente l’accaduto su X è stato l’amico Yuval Abraham: «Un gruppo di coloni ha aggredito Ballal», ferendolo «alla testa e allo stomaco» e lasciandolo «sanguinante». «I soldati hanno assaltato l’ambulanza che lui aveva chiamato e lo hanno portato via», ha riferito. «E’ stato ammanettato e bendato per tutta la notte in una base militare mentre due soldati lo picchiavano a terra».
2 giugno, il blocco del press tour: critiche all’Europa
Yuval Avraham e gli altri registi di No Other Land avevano invitato i giornalisti a visitare alcuni villaggi di Masafer Yatta il 2 giugno. Si sono presentati 15 reporter ma i soldati israeliani hanno impedito il loro accesso all’area per partecipare al tou. In un video pubblicato su X da Abraham, si vede un ufficiale dell’Idf con il volto coperto da un passamontagna che dice che il passaggio non è consentito. «Sapete che sono giornalisti. Vengono a vedere la distruzione a Masafer Yatta, il modo in cui state distruggendo la comunità, la violenza dei coloni», dice una voce fuori campo. Ma non c’è stato nulla da fare. Ne è scaturita una polemica, con i palestinesi che hanno chiesto ai militari perché non abbiano impedito l’accesso. Dice Avraham: «Tutto ciò che si muove in Cisgiordania ha un unico fine: impedire la creazione di uno Stato palestinese e restringere il più possibile le aree dove vivono i palestinesi. Poi lancia un appello all’Europa: «A Gaza c’è un genocidio in atto. Qui in Cisgiordania, una pulizia etnica silenziosa. L’Europa non può più girarsi dall’altra parte. I governi europei sono in grado di fermare Israele, devono farlo, non possono limitarsi a qualche dichiarazione senza alcun effetto».
28 luglio, il post che punta il dito su Trump
Avraham, ieri – dopo il video dell’attivista palestinese Odeh Hadalin impegnato nel film ucciso dal colono israeliano – ha rilanciato un post che denuncia che il doppio errore dell’amministrazione Usa: «due mesi fa Odeh Hadalin è arrivato negli Stati Uniti su invito di gruppi ebraici: è stato trattenuto ed espulso senza spiegazioni. Oggi è stato assassinato da un colono che Trump ha escluso dalla lista delle sanzioni statunitensi».
29 luglio 2025 ( modifica il 29 luglio 2025 | 15:48)
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