Il rapporto annuale dell’Associazione Italiana Editori, presentato ieri – secondo una tradizione consolidata – nel giorno di apertura della Buchmesse, si apre con un dato a prima vista positivo: nel 2024, anno in cui, ricordiamo, l’Italia è stata ospite d’onore alla fiera di Francoforte, le vendite di diritti dei nostri libri all’estero sono cresciute dell’8%. In cifre, sono stati 8.484 i contratti siglati per la cessione di titoli italiani, contro 9810 per le acquisizioni (anche qui la percentuale è in aumento, + 5%).

NON MALE, se si considera che fino a pochi anni fa la forbice tra cessioni e acquisizioni era molto più larga. Ma rispetto alle previsioni, com’è il bilancio? E quali case editrici hanno beneficiato maggiormente dell’aumento, i grandi gruppi o le indipendenti? Su questi aspetti, non marginali per valutare l’impatto della vetrina francofortese, il rapporto – o perlomeno lo spicchio di rapporto reso pubblico ieri – resta elusivo, e si limita a notare asciuttamente che dal 2001, cioè da quando l’Aie ha avviato le rilevazioni, quello del 2024 è stato il secondo migliore risultato, dopo il rutilante 2019, che pure non aveva goduto del posto d’onore alla Buchmesse.

Somministrata quella che comunque si può etichettare come una buona notizia, il rapporto prende subito un tono più cupo e la parola chiave diventa «flessione»: rispetto al 2023 lo scorso anno il mercato interno nel suo complesso (librerie fisiche e digitali, scolastica, editoria professionale e universitaria, export, vendite alle biblioteche) ha visto un calo dello 1,4%, con un valore che si attesta a 3.234 miliardi di euro. Tutto sommato, ci si poteva aspettare di peggio, non fosse che – avverte il rapporto – «la flessione si è accentuata nei primi nove mesi del 2025: da gennaio a settembre il solo mercato trade (librerie, online e grande distribuzione) è calato del 2% a valore (995,3 milioni di euro) e del 2,7% a copie (68 milioni di copie)».

Quei quasi due milioni di copie mancanti, chiosano gli analisti dell’ufficio studi dell’Aie, sono effetto diretto «del minore impatto delle misure di sostegno alla domanda», vale a dire del passaggio dalla renziana App 18 (cinquecento euro dati da spendere in libri e cultura a tutti i ragazzi e le ragazze allo scoccare della maggiore età) alle ben più risicate carte della cultura e del merito varate dal governo Meloni.

«AL NETTO DEGLI ACQUISTI con le carte per i neodiciottenni, il mercato trade sarebbe in crescita rispetto al 2024», precisa però il rapporto Aie, un dato in qualche modo inatteso e su cui varrebbe la pena di riflettere meglio, anche per capire come rendere più incisive le pur fondamentali «misure di sostegno».

Così come varrebbe la pena, sempre avendo in mente questo obiettivo, analizzare i dati delle vendite in parallelo a quelli sulle abitudini di lettura. Prendendo per buono il discutibile criterio dell’Aie secondo cui si definisce lettore (o lettrice) chi nell’arco di un anno ha letto un libro «anche solo in parte», non può non colpire il divario tra le regioni centro-settentrionali e quelle meridionali: «mentre al Centro-Nord legge il 77% degli italiani, la percentuale scende al 62% nel Sud e nelle isole». Meno biblioteche, meno librerie, meno lettori (e acquirenti di libri).

Infine, in questo quadro non certo allegro, forse le cifre che impressionano di più riguardano la produzione: «Nel 2024 sono stati pubblicati in Italia 85.872 titoli a stampa» e «per la prima volta, il catalogo vivo da cui gli italiani possono scegliere quali libri leggere ha superato il tetto di un milione e mezzo di titoli». Ma quanti di questi troveranno almeno un (parziale) lettore?