Al termine di un’edizione spettacolare del Tour de France, abbiamo raggiunto Beppe Martinelli, uno dei più grandi direttori sportivi italiani di sempre. Dalla sua ammiraglia sono passati fuoriclasse come Marco Pantani, Vincenzo Nibali e tanti altri campioni che hanno scritto pagine leggendarie del ciclismo mondiale. Cinquant’anni di carriera, di cui 16 da corridore e 38 come direttore sportivo, con un palmarès da far invidia a chiunque: nove Giri d’Italia, due Tour de France e una Vuelta a España vinti al fianco dei suoi atleti. Dallo scorso anno ha scelto di scendere dall’ammiraglia del World Tour, ma il suo amore per il ciclismo lo ha portato ancora una volta in macchina, questa volta al servizio delle squadre giovanili. Con la passione e la lucidità che lo contraddistinguono, ci ha parlato di Pogacar, Vingegaard, delle speranze italiane come Tiberi e Pellizzari, e della situazione del movimento ciclistico giovanile in Italia.

Pogacar sembra ormai superiore a tutti. Secondo te può battere il record di vittorie al Tour de France?
“È sicuramente sulla strada giusta. Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi, quest’anno li ha dissipati del tutto. Pogacar ha dominato in lungo e in largo, dimostrando di essere fuori categoria. L’unico che prova a stargli vicino è Vingegaard, ma arrivare sempre secondo alla lunga pesa. È anche possibile che Jonas decida di cambiare obiettivi, magari cercando di vincere un altro Grande Giro, come il Giro d’Italia, per trovare una via più libera.
Nel 2024, nonostante la caduta e i problemi fisici in primavera, Vingegaard era in buona condizione, ma Pogacar lo ha battuto su ogni terreno. Parliamo di un corridore che ha qualcosa in più degli altri, sotto tutti i punti di vista.”

Pogacar ha quasi 27 anni. Quando pensi che possa avere un calo, se mai succederà? Lo vedi ancora vincente fino ai 35 anni?
“Per come lo vedo oggi, credo che potrà restare ad altissimo livello ancora per almeno tre o quattro anni. È un corridore intelligente, capace di gestirsi bene. Quest’anno, per esempio, ha scelto di rallentare l’inizio di stagione per arrivare al Tour, ed è stata una strategia perfetta. È imbattibile, ha una squadra fortissima intorno, e sembra non sentire la fatica come gli altri. Se continuerà così, potrebbe tranquillamente vincere ancora tanti Grandi Giri. Ma ovviamente, come per tutti, arriverà un momento in cui il fisico comincerà a dare qualche segnale.”

Pogacar ha già detto che non correrà la Vuelta. Un’opportunità concreta per Vingegaard?
“Senza dubbio. L’assenza di Pogacar apre una finestra importante per Vingegaard, che così può finalmente puntare alla vittoria in un altro Grande Giro. E questo può anche cambiare le carte in tavola per i nostri italiani, come ad esempio Antonio Tiberi, che potrebbe puntare al podio. Se Vingegaard sarà al via in forma, sarà l’uomo da battere. Ma in una Vuelta lunga e dura, come sarà quest’anno, ci sarà spazio per chi ha gambe e ambizione.”

Tiberi, con quei 46 km a cronometro, ha davvero il podio alla portata?
“Secondo me sì. Deve partire con quell’obiettivo. Al Giro è stato sfortunato, ma ha dimostrato di avere solidità e intelligenza. Se riesce a restare concentrato e arriva in forma, può fare molto più di quanto ha mostrato finora. L’importante è che si presenti alla partenza della Vuelta con convinzione. E poi c’è anche il Mondiale subito dopo, che sarà molto selettivo: lì si farà la differenza con le gambe, non con le chiacchiere. Antonio ha le carte in regola per diventare un punto di riferimento.”

Secondo te, perché Pogacar non ha ancora provato a vincere Giro, Tour e Vuelta nello stesso anno, vista la sua superiorità?
“Perché oggi è praticamente impossibile. Il ciclismo moderno non lo permette: per riuscirci, dovrebbe rinunciare a tutto il resto, come le Classiche a cui tiene moltissimo. Sarebbe un impegno fisico e mentale enorme, difficile da sostenere anche per lui. Pogacar è un fenomeno, certo, ma nessuno è indistruttibile. Senza contare gli impegni con la squadra, i contratti, il calendario: oggi il ciclismo è molto più strutturato rispetto all’epoca di Merckx.”

Pellizzari è arrivato 6° al Giro: basterà per essere capitano alla Vuelta o lavorerà per Hindley?
“Lo vedo più come un jolly. Non credo che gli affideranno subito i gradi da capitano, anche se è un ragazzo con una testa notevole. Secondo me deve fare la Vuelta con l’idea di crescere, magari puntare alla classifica strada facendo, se le condizioni lo permettono. È molto giovane, ma è nella squadra giusta per migliorare. Tra un paio d’anni potrebbe davvero essere pronto per guidare un team in un Grande Giro.”

Con Lipowitz esploso e Evenepoel in arrivo, c’è ancora spazio per Pellizzari in Red Bull Bora-Hansgrohe?
“Sì, lo spazio c’è, ma va conquistato. Le grandi squadre come la Red Bull Bora stanno cercando di diventare superpotenze, al livello della UAE e della Visma. Hanno i mezzi per farlo, sia tecnici che economici. In questi ambienti si cresce bene, ma bisogna sapersi affermare: non ti regalano niente. Se Pellizzari continuerà a dimostrare di valere, troverà il suo spazio, anche in mezzo ai grandi nomi.”

Hai lasciato l’ammiraglia World Tour ma continui a vivere il ciclismo con le giovanili. Che idea ti sei fatto del nostro movimento Juniores?
“Mi piace molto quello che vedo a livello di ragazzi: c’è entusiasmo, c’è talento. Abbiamo una bella generazione in arrivo. Ma il problema è strutturale: ci sono poche squadre, e senza squadre è difficile crescere. I nostri ragazzi spesso sono costretti ad andare all’estero già a 18-19 anni, perché qui mancano le strutture, le Continental e anche le Professional per fare il salto. Così perdiamo tanti corridori validi. Le grandi squadre internazionali pescano già tra gli Juniores (sono 700 gli Juniores in attività in Italia), saltando le Under23, e questo snatura il percorso di crescita. Servirebbero delle squadra italiane, con sponsor che hanno voglia di investire tempo e denaro, altrimenti continueremo a vedere i nostri talenti affermarsi lontano da casa.”