Per Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti era «un cretino fosforescente». Secondo Mark Twain, ogni biblioteca senza opere di Jane Austen era una buona biblioteca, anche se non conteneva altri libri. Jonathan Franzen invece detestava Philip Roth, che accusava di parlare solo di sé stesso, «non avendo nient’altro da raccontare».

La storia della letteratura è anche una storia di litigi, scambi di insulti e commenti poco lusinghieri tra autrici e autori. Inimicizie letterarie di Giulio Passerini raccoglie alcuni dei casi più famosi di «bullismo letterario», che coinvolgono tra gli altri William Faulkner ed Ernest Hemingway, Giuseppe Ungaretti e Massimo Bontempelli, Bret Easton Ellis e “il fantasma” di David Foster Wallace. Pubblichiamo un estratto dell’alterco tra Norman Mailer e Gore Vidal, due degli scrittori, saggisti e intellettuali più influenti degli Stati Uniti del secondo dopoguerra.

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Norman Mailer è scomparso nel 2007 lasciandosi alle spalle sessant’anni di carriera, quaranta opere, nove figli, sei mogli, due Premi Pulitzer e svariati arresti per droga, alcol e violenze fra cui uno per aver accoltellato Adele Morales, la sua seconda moglie, e uno per aver picchiato un marinaio per strada dopo che questi aveva avanzato dei dubbi sulla sessualità del suo cane.
Per le femministe d’America, con la sua morte «Mailer si è conquistato un posto d’onore nel pantheon dei maiali macho sciovinisti». Ma non solo. «Scrittore prolifico e giornalista geniale», «principe macho delle Lettere», «enfant terrible della politica e controcultura Usa», «coscienza critica dell’America», «renaissance man delle arti», nonché «la voce più coraggiosa, controversa e trasgressiva di un’intera generazione», sono solo alcuni dei titoli che lo hanno reso uno dei protagonisti più discussi della vita culturale degli Usa per circa mezzo secolo. Le sue opere hanno segnato il dibattito dei suoi contemporanei, il suo stile ha fatto scuola, le sue liti sono entrate nella leggenda. Come quella con Gore Vidal (altro energumeno della parola scritta), durata per più di un decennio fra colpi proibiti, ko e arbitri lanciati fuori dal ring.

Tutto comincia nel 1971, quando Norman Mailer pubblica Il prigioniero del sesso. La recensione di Vidal per la «New York Review of Books» fu una bocciatura senza appello: la lettura del saggio venne definita un’esperienza simile a «tre giorni di flusso mestruale» e il suo autore fu accostato a Charles Manson. Mailer non la prese affatto bene.

Nel dicembre del 1971 i due si incontrano nello studio televisivo di un talk show, ospiti del giornalista Dick Cavett. Il tema della serata sarebbe dovuto essere il rapporto uomo-donna e la questione femminile, ma presto il dibattito si trasforma in quello che anni dopo Dick Cavett definirà senza alcun dubbio «lo show più sulfureo che mi sia mai capitato, o di cui abbia mai sentito parlare».

Secondo la versione riportata da Norman Mailer in Pieces and Pontifications, il match comincia dietro le quinte, a telecamere spente.

In quel momento, sentì (qui è Mailer che parla di sé stesso in terza persona, N.d.A.) una mano dolce e carezzevole sulla nuca. Era Vidal. Vidal non lo aveva mai toccato prima, ma ora aveva il sorriso affettuoso di uno che avrebbe voluto dire: «Non importa quello che abbiamo detto l’uno contro l’altro, vecchia lenza, è bello rivedere un vecchio amico». Mailer rispose con un buffetto a mano aperta sulla guancia. Non era uno schiaffo, né un pugno, solo un buffetto robusto. Per tutta risposta, con sua sorpresa, Vidal lo schiaffeggiò. Norman sorrise guardando Gore amabilmente. Si sporse in avanti, mise la sua mano sulla nuca di Gore e gli diede una violenta testata.

E questo è solo l’inizio. In studio si accendono i riflettori, le telecamere cominciano a girare. Cavett fa la sua introduzione e gli ospiti si accomodano uno per volta sul palco. Mailer entra per ultimo con aria belligerante: «Entrò dalla quinta di sinistra, con la sua tipica camminata da pugile», ricorderà più tardi Cavett, «le mani alzate davanti a sé e strette a pugno, aveva l’aspetto scarmigliato di chi si è fermato a visitare uno o due dei suoi bar preferiti lungo la strada (cosa che confermerà all’“Esquire” nel 1991: “Of course”). Il suo abito era in disordine, il suo inchino a Miss Janet Flanner elegante, e il suo rifiuto di stringere la mano tesa di Vidal provocò un mormorio fra il pubblico in sala». Mailer è scatenato. Nel giro di pochi minuti dice a Vidal di ritenerlo intellettualmente vergognoso e che la sua scrittura «non è più interessante del contenuto dello stomaco di una vacca intellettuale». Ha chiaramente tutta l’intenzione di fargliela pagare per averlo paragonato a Charles Manson e aver ricordato dell’accoltellamento della sua seconda moglie.

Mailer: «Sappiamo tutti che ho accoltellato mia moglie anni fa. Davvero, lo sappiamo, Gore. Ci stavi marciando».
Vidal: «Mettiamoci una pietra sopra».
Mailer: «Tu non vuoi metterci una pietra sopra. Sei un bugiardo e un ipocrita. Ci stavi marciando».
Vidal: «Ma quella non era né una bugia né un’ipocrisia».
Mailer: «La gente che legge la “New York Review of Books” ne è perfettamente a conoscenza – sanno tutto in proposito, è il tuo modo subdolo che…».
Vidal: «Oh, comincio a capire cosa ti ha infastidito. Sto cogliendo il punto».
Mailer: «Sei disposto a scusarti?».
Vidal: «Se qualcosa ha urtato i tuoi sentimenti, sì, naturalmente mi scuserei».
Mailer: «No, ha urtato il mio senso dell’inquinamento intellettuale».
Vidal: «Be’, allora devo dire che in qualità di esperto dovresti saperne qualcosa».
Mailer: «Be’, sì, ho dovuto annusare i tuoi lavori di tanto in tanto, e quello mi ha aiutato a diventare un esperto di inquinamento intellettuale, sì».

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