Con il suo album d’esordio la 23enne svizzera svela l’intento di produrre un rap di concetto, lontano dalla spacconeria da classifica dei colleghi

Il disco d’esordio di Ele A si intitola Pixel. Già: disco d’esordio suona strano accostato ad un’artista che ormai abbiamo imparato a trovare sempre ai vertici della discografia, con quasi 800mila ascolti mensili su Spotify ed eccellenti collaborazioni all’attivo. Eppure Pixel è la sua prima narrazione lunga, una narrazione che ci indica chiaramente il tipo di percorso che la 23enne svizzera intende intraprendere.

Il suo infatti è un rap di concetto, in cui viene lasciato ampio spazio alla fisiologica vulnerabilità di una ragazza giovane, lontano dagli schemi machisti che condizionano il rap da classifica di molti colleghi. Una crisi di valori che lei stessa, in dialogo con Open, riconosce: «È quello spesso il problema del rap: è molto importante risultare swag. Credo che ci sia questa “misconception” nel rap che essere vulnerabile è uguale ad essere deboli quando in realtà è esattamente l’opposto, se tu senti la necessità di mascherare il tuo lato più fragile è perché ti senti fragile, hai paura. Ci vuole veramente tanto coraggio per parlare delle proprie cose, delle cose che ti fanno star male, delle cose che ti turbano, è molto più facile dire “Faccio un botto di soldi, ciao”, quindi è una qualità che per me è fondamentale nella musica».

Fondamentale come il ruolo che Ele A si ritrova a dover affrontare, quello di donna in un ambiente, quello del rap, stradominato dagli uomini: «Sono dell’idea – spiega ancora a Open – che un punto di vista femminile sia importantissimo in qualsiasi ambito, credo che sia impossibile capire il mondo se non si hanno entrambi i punti di vista. Non vuol dire che quello femminile è più importante, ma è importante che ci sia, e in questo momento storico ci sono ancora troppe poche artiste nel rap, e in particolare in Italia».