voto
6.0

  • Band:
    GRAVERIPPER
  • Durata: 00:33:33
  • Disponibile dal: 17/10/2025
  • Etichetta:
  • Wise Blood Records

Streaming non ancora disponibile

Da Graveripper a Hellripper il passo è breve, o almeno potrebbe esserlo. E invece no: aldilà della somiglianza tra i due moniker e del medesimo genere proposto (black/thrash con venature speed’n’roll) vi è infatti un elemento che distanzia – e parecchio – la band americana da quella scozzese guidata dal prode James McBain. Si chiama sostanza, o meglio ancora identità: è questa di fatto che manca al gruppo statunitense, impedendogli pertanto di compiere il fatidico salto di qualità. Ma andiamo con ordine.
I Graveripper prendono vita nel 2019 a Indianapolis e le premesse sono più che discrete: l’EP “Radiated Remains” ci mostra un quartetto il cui thrash-blackened ha molti spunti in comune con i primi Skeletonwitch, quelli dei fratelli Garnette per intenderci, mischiando sonorità old-school targate Desaster.
Prospettive interessanti, riprese nel successivo split “Faster than the Fucking Devil” e replicate nell’album di debutto “Seasons Dreaming Death” rilasciato un paio di anni fa: la formula piace ma si attende, come da prassi, qualcosa che vada oltre. Ecco dunque la seconda occasione per la band di Indiana, divenuta nel frattempo un terzetto con il solo Corey Parks (voce e chitarra) a tirare le fila, accompagnato al basso da Steve Garcia e da Nick James alla batteria.

Il nuovo tentativo si chiama “From Welkin To Tundra”, in uscita per la conterranea Wise Blood Records: la proposta porta con sé una venatura leggermente più melodica e più aggressiva con un tocco di black’n’roll alla Midnight a rendere il tutto più selvaggio…
Tuttavia, c’è una tessera del mosaico intarsiato dai Graveripper che non riesce a smuoversi dalla sua vecchia posizione. La miccia si accende ma l’esplosione definitiva tarda ad arrivare, e in alcuni casi non avviene mai. I motivi? In primis il timbro vocale dello stesso Parks, spesso abbaiante, ripetitivo e monotono, pur cercando in alcuni tratti di essere melodico.
Lo stesso vale per la parte strumentale: è abbastanza aggressiva da tenere incollato l’ascoltatore, ma altrettanto meccanica da annoiare. Un esempio lampante è “Death’s Cold Embrace”, un brano che parte in quarta ricordando vagamente “The Nuckelavee” proprio degli Hellripper, ma che si inceppa alla svelta, tanto che nella seconda metà, quando uno stacco più catchy sembra presentare un nuovo scenario ritmico, anzichè evolversi si arresta all’improvviso lasciando un pizzico di delusione. Scelte un po’ improvvisate, rintracciabili anche in “Hounds From Hell”, smorzata nel nulla dopo circa tre minuti come se le idee fossero bruscamente terminate.
La ripetitività rimane di casa anche in “New Gods, New Masters” la quale ha comunque il plauso di mantenere un appeal più marcio, grintoso e quindi vincente. Il resto, da “Bullet Laden Crown” sino alla conclusiva “Burning Barren Plains” segue invece l’identico canovaccio dell’intero album, non trovando mai la giusta direzione per sbrogliare la famosa matassa.
‘Vorrei ma non posso’ o si tratta di un vero e proprio un limite qualitativo? La seconda prova sulla lunga distanza è andata così così. Urgono nuovi sviluppi in quel di Indianapolis, così da avere un quadro più vario o quantomeno più singolare firmato Graveripper.