Intervistato dal quotidiano Kurir, l’ex centrocampista nerazzurro parla dell’esordio del figlio in nazionale e della precaria situazione sulla panchina dello Spartak

“Mi ha detto di comportarmi bene, e che prima di indossare la maglia, di guardare lo stemma della Serbia e di metterlo sempre davanti al cognome”. Con queste parole Dejan Stankovic ha incoraggiato il figlio, Aleksandar, che lo scorso sabato ha esordito con la maglia della nazionale serba nella gara contro l’Albania. A chi gli chiede cosa abbia veramente detto al figlio prima dell’esordio, l’ex Inter ammette che non è stato facile trovare le parole giuste.

“Domande sempre più difficili, una più dura dell’altra… Cosa avrei potuto dirgli prima della partita, quando lui è un giocatore migliore di quanto lo fossi io alla sua età? Non so nemmeno se ho avuto più agitazione ora, per la sua partita, o quando giocavo io. Ricordo l’anno 1999 e le partite contro la Croazia. Erano di enorme importanza, per un milione di motivi. Ma questa di Ale adesso… (Ale è il soprannome di Aleksandar Stanković, n.d.r.). Ho visto da qualche parte la dichiarazione di Piksi che dice: “Aleksandar ha sempre tre soluzioni”. Io penso addirittura che ne abbia cinque. Dire che sono orgoglioso di lui è dire poco”, ha detto Deki intervistato dal portale Kurir.

In merito alla sua fragile posizione sulla panchina dello Spartak, Stankovic ha dichiarato: “La stessa cosa può succedere a Cristian Chivu all’Inter, a Igor Tudor, a Simone Inzaghi… È normale. Il problema è solo che nei media della mia sostituzione ne parlano gli anonimi. Nessuno sa chi siano quelle persone. Mi piace dire di loro che sono dei “no name”, gente senza nome. E se avessi paura dei passeri, porterei una fionda in tasca. Di certo non saranno loro a sostituirmi. Si sa bene chi ha in mano il coltello e il pane. Ma per essere completamente sincero, non ho alcun problema nemmeno con l’essere sostituito. L’ho detto chiaramente e ad alta voce ai dirigenti del club”.