La situazione legata al progetto per una rete nazionale di telecomunicazioni (Tlc) si mette male, anzi malissimo. E stando a quanto si apprende da fonti coinvolte nel dossier, il treno viaggia ormai su un binario morto. Gli ostacoli sul cammino sono troppi e il tempo che scorre inesorabile diventa esso stesso un ostacolo poiché la questione delle sinergie derivanti dall’integrazione degli asset di Open Fiber e FiberCop è legata molto all’effettiva messa a terra del progetto. Un progetto complesso che solo calcolando l’iter delle autorizzazioni da parte di Bruxelles non potrebbe ottenere il disco verde prima di un anno e mezzo. E considerando che il progetto ad oggi non c’è la teoria del binario morto si fa altamente probabile.
Gli interessi di fondi e stato non convergono
Ma la questione “tempo” seppur dirimente non è quella più critica: c’è da fare i conti con l’aspetto economico, in particolare con la redditività e con il debito monstre che andrebbe a crearsi per effetto della fusione. Chi si intesterebbe l’operazione? Chi ripagherebbe il debito? E come fare a generare redditività in uno scenario in cui gli operatori di telecomunicazioni sono alle prese con ricavi al ribasso che impattano notevolmente sugli investimenti nelle reti in fibra?
Gli azionisti di Open Fiber e FiberCop hanno interessi e obiettivi diversi. Lo Stato, attraverso la quota del 60% di Cassa depositi e prestiti (Cdp), ha un peso più forte in Open Fiber. Ma il secondo azionista, il fondo australiano Macquarie con il 40% ha un peso altrettanto forte nella trattativa. È sulle aree nere (quelle ad alta redditività) che si è innescato il braccio di ferro: gli australiani non ne vogliono sapere di cederle nella rete unica e anzi vorrebbero rilevarle per tentare di monetizzare l’investimento da oltre 2 miliardi di euro fatto nel 2021 per acquisire il 40% di Open Fiber. E, si sa, i fondi non investono e non cedono asset se l’affare non è remunerativo. Da parte sua Cdp vuole tenerle in pancia, ma parliamoci chiaro l’Antitrust europea non approverebbe mai un progetto di rete “nazionale” con dentro risorse di questo tipo.
In casa FiberCop la questione è ancora più spinosa: il principale azionista è il fondo americano Kkr in quota al 37,8% mentre lo Stato è solo quarto azionista attraverso il ministero dell’Economia e delle Finanze con il 16%, considerato che il fondo pensione canadese Cpp Investments e il fondo sovrano di Abu Dhabi Adia hanno il 17,5% a testa, a seguire il fondo infrastrutturale italiano F2i con l’11,2%.
Debito monstre e scarsa redditività
Stando a indiscrezioni di Reuters fra Kkr e il Governo le tensioni sarebbero crescenti ma le tensioni lasciano il tempo che trovano. Il tema è trovare una quadra che non si trova. Stando a quanto risulta a Wired il nocciolo è come fare a rendere sostenibile la newco delle reti. Peraltro, secondo il Financial Times, Kkr ha deciso di rinunciare ai dividendi dall’attività in FiberCop a seguito di un accelerazione del tasso di perdita di clienti.