UDINE – Il giorno dopo, in piazza Primo Maggio sono rimaste le chiazze di sangue, qualche sbarra di ferro divelta dalla segnaletica, le montagnole di pietre. Quell’intifada che doveva essere solo una parola, scritta sui cartelli esposti durante il corteo pacifico del pomeriggio, martedì sera si è materializzata in tutta la sua violenza: una rivolta da parte di qualche centinaio di esagitati, una minoranza dei 9-15.000 (a seconda delle stime) che hanno manifestato tranquillamente, capace però di causare 13 feriti tra le forze dell’ordine e gli operatori dell’informazione. Per questo ieri la Questura ha formalizzato 2 arresti e 13 fogli di via a carico di attivisti provenienti quasi completamente dal Nordest, di cui oltre la metà dal Veneto, ai quali vanno aggiunte 3 denunce nei confronti di spettatori che allo stadio che hanno tentato di invadere il campo con le bandiere della Palestina.

APPROFONDIMENTI


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LE MISURE

Potrebbe non essere finita qua, ha fatto capire il questore Pasquale Antonio De Lorenzo: «Le indagini continuano, in collaborazione con le Digos delle varie province, per identificare altri responsabili dei disordini e approfondire la provenienza di quelli già individuati». Come ad esempio l’eventuale militanza in centri sociali o l’appartenenza ad altre realtà organizzate. Finora sono stati arrestati un 35enne nato a Udine e residente a Buja (in carcere per danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale) e un 49enne nato in Germania e residente a Feltre (ai domiciliari per la sola resistenza). Sul totale dei 15 complessivamente fermati dopo gli scontri, 9 sono uomini e 6 sono donne, tutti cittadini comunitari: perlopiù italiani, ma ci sono anche un paio di ragazze slovene. «Nell’immediatezza l’abbiamo valutata come un’azione estemporanea – sottolinea De Lorenzo – da arginare nel più breve tempo possibile, evitando contatti fisici. Al momento riteniamo che i facinorosi si siano armati sul posto con quello che hanno trovato, ma non escludiamo che possa essere approfondita l’ipotesi della premeditazione». Quanto ai “tifosi” che sono stati bloccati al Bluenergy Stadium dagli steward e consegnati agli agenti, si profila per loro il Daspo, in un contesto in cui sono scattate una decina di segnalazioni per l’esposizione della bandiera palestinese.

LA DINAMICA

A consuntivo di un’attività che dall’11 al 15 ottobre ha visto impegnati 3.000 poliziotti, carabinieri, finanzieri e vigili urbani, di cui 1.104 nella giornata della partita e della manifestazione, è stata ricostruita la dinamica dei tafferugli. Secondo la Questura, mentre la maggior parte degli attivisti si è concentrata nell’area verde, in 200-300 prima hanno forzato il cordone della sicurezza interna e poi hanno cercato di sfondare la cinturazione dei reparti antisommossa, al grido «Stadio, stadio! Corteo, corteo!», fra lanci di oggetti, esplosione di petardi e incendi di una decina di cassonetti, a cui è stato risposto con i getti di idranti e lacrimogeni. Una degenerazione che ha suscitato la riprovazione trasversale della politica. «Mi auguro ci sia una condanna univoca da parte di tutti verso questi atteggiamenti e verso questi soggetti che continuano a imperversare nelle nostre città», ha detto il governatore leghista Massimiliano Fedriga. «Sono frange che vanno isolate, proprio da chi chiede giustizia e libertà per la Palestina», ha dichiarato la senatrice dem Debora Serracchiani. Ma il Comitato per la Palestina di Udine ha puntato il dito contro le forze dell’ordine: «Non comprendiamo l’illusorio tentativo di alcuni gruppi di muoversi verso lo stadio ma la risposta della polizia è stata spropositata. Il lancio di lacrimogeni ha raggiunto la zona centrale della piazza, dove erano presenti famiglie e bambini, costringendo tutti ad allontanarsi in fretta. Nelle ore successive ci siamo recati davanti alla questura per accertarci delle condizioni dei fermati e garantire loro assistenza legale». Marina Figus, responsabile di zona della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha invece dato voce alla delusione proprio di famiglie e bambini: «Abbiamo lasciato la piazza e quella bella atmosfera proprio nel momento in cui hanno a iniziato a sentirsi degli “scoppi”. Per tre ore le persone hanno camminato unite, in modo pacifico; gli studenti universitari che erano con noi hanno marciato cantando e rifiutando le provocazioni. Prendiamo le distanze da quella minoranza che in dieci minuti ha rovinato un cammino di popolo durato tre ore, e dall’attenzione mediatica che fatica a dare spazio alle iniziative nonviolente. Da anni siamo presenti con i nostri giovani in Palestina, sulle colline a Sud di Hebron, per sostenere il dialogo fra israeliani e palestinesi che nel silenzio si impegnano per costruire alternative al confronto armato».