C’era una volta il Gran Premio degli Stati Uniti ad Indianapolis (dal 1950 al 1960 e dal 2000 al 2007). Una pista, senza nulla togliere a quella di Austin o a tutte le altre presenti nel Paese a stelle e strisce, colma di fascino e storia. Una pista che di storie, per l’appunto, ne ha tante da raccontare. Compresa quella dell’anno del ritorno nel calendario di Formula 1. Un anno che segnò l’inizio di un nuovo millennio, nonché di una nuova era sportiva.

Indianapolis 2000: il racconto della gara

Il 24 settembre del 2000, per la prima volta dopo 40 anni, la Formula 1 corse sul circuito di Indianapolis. Giunti oramai al 15° dei 17 appuntamenti del Mondiale, l’attenzione degli addetti ai lavori era interamente rivolta ad una fantastica lotta per il titolo, che vedeva protagonisti Michael Schumacher e Mika Hakkinen nella classifica piloti, con Ferrari e McLaren in quella dei costruttori.

È doveroso ricordare che il Kaiser, alla guida della Rossa, iniziò la stagione in maniera magistrale, conquistando 4 vittorie nelle prime 6 gare. Nella seconda parte del campionato, però, il tedesco fu protagonista di un periodo nero. Con 1 vittoria e 5 ritiri, Michael mise a referto solamente 10 punti nei successivi 6 gran premi. Un bottino talmente esiguo che scoraggiò l’ambiente attorno alla Ferrari: il titolo che mancava a Maranello dal 1979 sembrava esser diventato, per l’ennesima volta, irraggiungibile.

Hakkinen ne approfittò per riavvicinarsi, compiendo poi il sorpasso in classifica con i successi in Ungheria ed in Belgio. A Schumacher non bastò la vittoria a Monza, davanti ai Tifosi: arrivati ad Indianapolis, il “finlandese volante” era in testa con 2 punti di vantaggio.

Nelle qualifiche del sabato, Michael ottenne la pole position, battendo le McLaren di Hakkinen e Coulthard. I primi giri della gara – su pista umida – furono complicati per il tedesco della Rossa: Coulthard lo superò con una partenza illegale (poi penalizzata con uno stop&go), anticipata rispetto allo spegnimento dei semafori. Eppure, lo scozzese giocò di squadra e cercò di rallentare Schumacher il più possibile, prima di concedere la posizione al giro 6.

Hakkinen, invece, provò a rimontare a tutti i costi. Nel corso del 26° passaggio, però, ecco il momento che cambiò l’andamento del Mondiale, riaccendendo le speranze dei tifosi della Ferrari: il motore della McLaren numero 1 andò in frantumi.

Schumacher vide la bandiera a scacchi per primo, davanti all’altra Rossa di Barrichello ed alla Jordan di Frentzen. Un risultato che ridiede al tedesco la testa della classifica mondiale piloti, con 8 punti di vantaggio su Hakkinen, ed alla Scuderia quella nei Costruttori, con 10 lunghezze sulla McLaren.

Con il senno di poi, la gara di Indianapolis si rivelò decisiva per rivedere un pilota vestito di Rosso diventare campione del mondo. Dopo quella corsa, infatti, Schumacher era padrone del proprio destino: con una vittoria a Suzuka, il titolo sarebbe stato suo.

Oggi, a 25 anni di distanza, sappiamo tutti com’è andata a finire. Ma questa è un’altra Storia (di Formula 1).

 

Leggi anche: Da «predestinato» a mela marcia? L’assurdo malcontento della Ferrari verso Leclerc

Leggi anche: Un titolo sempre più in bilico e tante altre sorprese: riassunto F1 Academy Singapore

Leggi anche: L’unico «valore McLaren» è l’incoerenza

Leggi anche: Mercedes si illumina, McLaren si spegne: analisi telemetria qualifiche Singapore

Foto copertina x.com


Tutte le news, le foto, il meteo, gli orari delle sessioni ed i tempi del Gran Premio Stati Uniti 2025