Silenzio, gentilezza e amicizia contro i fantasmi del passato e in un luogo non più accogliente, gli Stati Uniti del recentissimo passato. Ne “L’imperatore della gioia” Ocean Vuong racconta un’amicizia improbabile che funziona, quella fra una ultraottantenne e un diciannovenne a cui ha salvato la vita. Una storia mai melodrammatica ma che, nel dolore, non perde mai di vista la bellezza…
Il suo primo libro era una rivelazione, il suo secondo è abbagliante. Per il primo aveva fatto un grandissimo lavoro la traduttrice Claudia Durastanti, per il secondo è stato convocato un altro campione della traduzione dall’inglese, Norman Gobetti. Ocean Vuong, americano di origine vietnamita è una delle più belle notizie che la letteratura ci ha regalato negli ultimi anni. Brevemente risplendiamo sulla terra (ne abbiamo scritto qui) non è rimasto un unicum. Ma la sua anima epistolare e poetica, intimissima, non era riproducibile. Meglio così. Non crediamo agli autori che riscrivono più o meno lo stesso libro, né ai lettori che vogliono leggerlo. Scoprire, rinnovare, sorprendersi sono verbi che si addicono di più alla scrittura e alla lettura. Adesso leggere Ocean Vuong significa fare i conti con la solidarietà capace di annientare la sofferenza, con l’esibizione dell’incubo americano (senza smarrire talvolta la via dell’humour), e con un libro decisamente più tradizionale nella struttura, con tanto di narratore onnisciente.
Un legame autentico
Un’anziana salva un diciannovenne che sta per togliersi la vita, Gazina, sopravvissuta agli orrori della seconda guerra mondiale (che però le ritorna in mentre attraverso allucinazioni…), distoglie dal gesto estremo il giovane Hai. È il 2009, siamo in un’immaginaria cittadina di provincia del Connecticut, East Gladness, terra di lunghi inverni. Da questo episodio Ocean Vuong cava fuori un libro che fa leva principalmente sulla dignità e sulla memoria come passaggi chiave dell’esistenza. Lavoro, immigrazione, conflitto bellici, L’imperatore della gioia (432 pagine, 20 euro), pubblicato dall’editore Guanda, è un romanzo che non ha paura di “sporcarsi” con problemi vivissimi. Il melodramma, la retorica, il sentimentalismo sono trappole a portata di mano, ma Ocean Vuong non abbocca mai, non cede alla tentazione, e non perde di vista mai la bellezza, nonostante il dolore. E questo legame autentico che racconta – quello fra due stranieri negli Usa, una vedova ultraottantenne, nata in Lituania, sfuggita a nazisti e sovietici, e un giovane, già dipendente dai farmaci, spiantato, omosessuale tormentato, segnato dalla morte del primo amore, Noah – è un titubante equilibrio di amicizia, contro ogni timore e smarrimento. Lontani dalle rispettive famiglie, si daranno una mano, Gazina troverà una specie di angelo custode, Hai – che lavorerà in un un fast food, come in passato il suo demiurgo Ocean Vuong – cibo e alloggio.
Comprensione e cicatrici
L’America di Ocean Vuong non promette niente, non sogna più e non fa sognare, non ha le braccia spalancate nei confronti di chi arriva da lontano. E questi concetti emergono chiari e forti dalle pagine de L’imperatore della gioia. L’umana comprensione, la reciproca partecipazione del male vissuto e delle cicatrici collezionate, fa intravedere spicchi di vita, sprazzi di normalità, spiragli di luce. La tragicomica convivenza dei due protagonisti – senza dimenticare le tante figure minori riuscitissime, soprattutto i colleghi del fast food – resiste ai fantasmi del passato, ai traumi, alle memorie labili: stare in silenzio, capirsi al volo, condividere, sperimentare la gentilezza, ripararsi da tutto quel che non piace, insieme, da un’inedita e insperata posizione di sicurezza.
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