Il libro

Una giovane studentessa bresciana ha raccontato il suo disturbo alimentare e il percorso di guarigione «Bisogna chiedere aiuto»




La copertina del libro scritto dalla giovane studentessa bresciana


La copertina del libro scritto dalla giovane studentessa bresciana




La copertina del libro


La copertina del libro

«Non bisogna nascondere le proprie fragilità. Vanno gestite, ma fanno parte di noi e la vulnerabilità non è un difetto». Con questa frase, pronunciata con una calma che sa di forza ritrovata, Clara Tinti racchiude il senso del suo libro «Cadono pezzi di me» (Gam editrice). Giovane studentessa, ha attraversato il dolore di un disturbo del comportamento alimentare (Dca) e ha deciso di raccontarlo in un volume che è insieme testimonianza e atto di condivisione.

Il libro

Il racconto nasce durante i mesi trascorsi nel Centro pilota regionale per i dca a Gussago, tra il 2024 e il 2025. «La scrittura è sempre stata la mia valvola di sfogo, il mio luogo sicuro». Un modo per capire sé stessa: «Poi, sfogliando quelle pagine di dolore e di gioia, ho pensato che quelle parole potessero servire anche ad altri, a chi non riesce a esprimere ciò che prova e ha bisogno di qualcuno che faccia da trascrittore. Io non posso insegnare nulla, però voglio far sentire le persone meno sole».

Il titolo, spiega, ha un doppio significato: i pezzi che cadono sono quelli della malattia, che si dissolvono nel percorso di guarigione, ma anche quelli vitali, mentre ci si perde per poi ritrovarsi. «Non è stato facile – racconta –. Poi ho trovato una nuova famiglia nelle altre ragazze, nelle infermiere che mi davano il bacio della buonanotte. Gussago è diventata la mia seconda casa».

I servizi d’aiuto

La dottoressa Federica Pagani, responsabile ambulatoriale del Civile di Brescia per i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, osserva che l’età d’insorgenza di queste malattie è sempre più precoce. In Italia si stima che ne soffrano circa tre milioni di persone. L’aspetto alimentare è solo la punta dell’iceberg, precisa: «Sono il segno di una sofferenza emotiva profonda». Agli Spedali Civili è stato attivato anche un altro servizio: una macroattività ambulatoriale ad alta complessità assistenziale (Mac), dove chi ne soffre può trascorrere la propria giornata tra psicoterapia, assistenza ai pasti e attività di gruppo. «Si può assolutamente guarire – ribadisce infatti Pagani – e prima si interviene, migliore è la prognosi». Fondamentale anche il ruolo della famiglia. «Non bisogna sottovalutare nessun segnale – sottolinea la madre di Clara, Monica Abrami –. Bisogna chiedere ai figli come stanno davvero, mettersi in discussione. È durissima, ma si guarisce tutti insieme». Dello stesso avviso il dottor Mauro Domenico Consolati, direttore sanitario del Centro di Gussago, che aggiunge: «Serve aprire spazio in cui poter riflettere su sé stessi, separarsi per individuarsi». Ed è proprio grazie a quello spazio che oggi Clara guarda avanti con una consapevolezza nuova. Perché, passo dopo passo, uscirne è possibile: «Chiedere aiuto è il primo passo per tornare a vivere».