C’è tanto da scoprire sulla Cina di oggi attraverso Memoria rossa di Tania Branigan, tradotto da Silvia Rota Sperti. Perché il (fallito) grande balzo in avanti e la Rivoluzione Culturale hanno lasciato tracce indelebili nella psiche e negli animi delle persone coinvolte.
Nel Libretto Rosso Mao Zedong affermava: “La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra”… Beh, non si può dire che non sia stato di parola. Tania Branigan con delicatezza ed eleganza intervista diversi sopravvissuti. E per sopravvissuti non dobbiamo intendere solo i superstiti delle persecuzioni e delle violenze, ma a volte anche le persone che hanno compiuto tali atti. Perché tra le guardie rosse venivano spesso arruolati giovanissimi e giovanissime a cui veniva inculcato un furore che non si fermava davanti a niente e nessuno, tanto che da grandi avrebbero dovuto capire come convivere con il peso delle loro azion: i figli furono aizzati contro i genitori. Per cadere in disgrazia bastava un dazibao, o anche meno. Anche essere fedelissimi di Mao poteva non essere sufficiente, si poteva comunque finire con l’essere considerati controrivoluzionari. Ma l’attenta analisi dell’autrice permette di capire che questo continuo rigirare la verità non si è fermato con la morte di Mao, è proseguito e prosegue fino all’odierno governo di Xi Jinping. Nel tempo infatti si sono prese le distanze da fatti come l’Agosto Rosso, ma la Cina non ha mai fatto veramente i conti con il passato, e anche questa presa di distanze dei governi è avvenuta in un modo tale da sembrare quasi di facciata. Lo stesso per Piazza Tienanmen.
Leggere Memoria Rossa fa comprendere come l’autocrazia cinese riesca a superare le mille contraddizioni, tra capitalismo sfrenato, confucianesimo e comunismo.
Tania Branigan è una giornalista britannica. Tra le voci più importanti del Guardian per gli esteri, si è occupata a lungo di Cina, paese in cui ha vissuto sette anni come corrispondente. Suoi scritti sono apparsi anche sul Washington Post. Memoria rossa, finalista al Baillie Gifford Prize, è il suo primo libro.