Eccola la roadmap per la difesa presentata dalla Commissione Ue nella scadenza annunciata, giusto a una settimana dal prossimo vertice dei capi di stato europei a Bruxelles al cui tavolo sarà Von der Leyen a presentarla. Nella scansione delle tappe del piano bellico firmato dalla presidente della Commissione, gli obiettivi prefissati mostrano come l’esecutivo Ue si proietti in avanti prospettando una spesa record per il riarmo. Ma facendo due precisazioni importanti: una sulla leadership europea nel riarmo, l’altra sulla Nato, da cui è evidentemente dipendente.

LA DIFESA COMUNE viene considerata come il pilastro della politica estera comune, che però non c’è perché resta nelle mani degli stati membri (e infatti il cancelliere tedesco Merz assicura che la Germania avrà l’esercito più forte tra quelli europei). La strada per arrivarci sembra lunga e tortuosa. La roadmap non fa che confermarlo: la via maestra è nella capacità industriale, veicolata dalla spesa in armamenti.

L’Ue ha già aumentato i suoi investimenti, passati da 218 a 392 miliardi negli ultimi quattro anni. Sono numeri forniti dalla vicepresidente della Commissione Ue Henna Virkkunen, che indica un importo quasi raddoppiato, presumibilmente a scapito di altri capitoli considerati meno prioritari. La cifra è già importante, però non basta alle ambizioni di Bruxelles. Il commissario alla Difesa Andrius Kubilius prevede un big bang nei fondi per la difesa con investimenti per quasi settemila miliardi entro il 2035. E riprendendo un’idea che circola da tempo nei palazzi Ue, aggiunge che per finanziare le armi si potrebbero, ad esempio, usare anche i fondi non spesi del Pnrr, per un valore di 300 miliardi di euro.

SE «È ARRIVATO il momento di trasformare la potenza economica dell’Europa in forza militare», come chiarisce la responsabile della politica estera Kaja Kallas, la roadmap lo fa partendo dai mattoni che vengono chiamate «coalizioni di capacità». Quello delineato dalla Commissione è uno scenario in cui gli stati si mettono insieme, in gruppi più o meno piccoli, per realizzare progetti di difesa nei settori chiave. Questi ultimi vengono indicati in quattro iniziative faro, ovvero la difesa con i droni, l’osservatorio sul fianco orientale, lo scudo aereo e quello spaziale. Già nella formulazione, si tratta di priorità molto più sfaccettate rispetto alla proposta iniziale del «muro di droni», dopo le critiche che Von der Leyen ha ricevuto da molti leader europei. E poi, la formazione delle coalizioni, dettaglia ancora la roadmap, dovrà partire dai primi mesi del 2026, quando ci sarà anche da decidere il formato, con i paesi che guideranno tutto il processo di riarmo in vista del 2030, limite fissato per la strategia di «preparazione» (già «riarmo», ora di nuovo passata sotto l’eufemistico contenitore «preservare la pace»), concepita sia in funzione anti-Putin che come adattamento storico alla nuova era dei rapporti transatlantici inaugurata da Trump.

Eppure, questa roadmap sembra più avere il carattere dell’indicazione che quello di decisione pienamente guidata da Bruxelles. Nei giorni scorsi la Commissione ha dovuto abbassare le sue preteste dirigiste nell’ambito della difesa, dopo le proteste di molte capitali, gelose delle prerogative nazionali in materia.

PALAZZO BERLAYMONT fa marcia indietro, ritagliandosi comunque un ruolo di coordinamento delle politiche di riarmo. Così l’agenzia europea della difesa, gestita dagli stati membri, avrà un ruolo centrale nel facilitare le coalizioni tra paesi, mentre alla Commissione Ue spetterà garantire il collegamento tra le stesse coalizioni e le politiche di finanziamento Ue. La roadmap si avventura comunque in un’altra importante indicazione di Bruxelles alle capitali, che riguarda l’entità della spesa. Entro il fatidico 2030, gli acquisti congiunti tra stati europei dovrebbero arrivare almeno al 40% del totale, raddoppiando così rispetto all’attuale 20%. Inoltre, almeno il 55% degli investimenti dovrà andare ad industrie europee, con l’intento di favorire la crescita di un settore industriale su cui molti paesi Ue, a partire dalla Germania, ripongono non poche speranze.

La clausola buy european – voluta dalla Francia, avversata da Polonia, Germania e Italia tra gli altri – è quella su cui si gioca il rapporto con Washington. Ed è in merito al rapporto con gli Usa, azionista di maggioranza della Nato, che la Commissione deve di nuovo chiarire. Non c’è nessun intento di raddoppiare, né tantomeno di sostituire il ruolo dell’Alleanza Atlantica, piuttosto «ci stiamo completando a vicenda», ha dichiarato mercoledì sera Kallas dalla riunione dei ministri della Difesa dei 27 a Bruxelles. Impossibile non ricordare che la richiesta agli europei di spendere di più in armi era arrivata direttamente da Trump.