Poi non ce ne fu più per nessuno

Nell’immediato dopoguerra andavano per la maggiore i ritmi sudamericani, che sapevano di vita dopo tanti anni di morte, e di divertimento dopo il grande dolore. Musiche allegre e testi al limite o oltre il demenziale, che trovano una delle massime espressioni nell’incredibile “O mama mama”, in cui Nilla Pizzi e le gemelle torinesi Secondina e Terzina Fasano, note con i nomi d’arte di Dina e Delfina, cantavano in similspagnolo versi immortali quali Ay-ay-ay-ay, son Pedri-to, ay-ay-ay-ay, il più dri-to, ay-ay-ay-ay, che mari-to, ay-ay-ay-ay, io sarò e altre amenità, fino a esplodere nel celeberrimo ritornello O mama, mama, mama, sai perché mi batte il corazón? Me gusta un bel muchacho, o mamà, enamorada son, trasformato negli stadi italiani in mille cori da mille curve diverse.

La versione più celebre è quella che i tifosi del Napoli dedicarono a Maradona, e mi viene in mente ogni volta che dobbiamo incontrare i Partenopei. In particolare ricordo la prima volta in cui mi capitò di poter assistere dal vivo alle imprese pedatorie di Dieguito a Torino: era il 30 settembre del 1984 e l’aspettativa era altissima. Scontro di titani al Comunale: noi rispondevamo al campione argentino con Léo Júnior, il fenomeno verdeoro venuto a insegnare calcio da Rio de Janeiro, e lo spettacolo era assicurato, spettacolo a livelli planetari, di quelli a cui è raro poter assistere.

Quella prima esibizione fu una disfatta della squadra del Pibe de Oro, che comunque illuminò la prestazione sottotono degli Azzurri con un paio di sprazzi di genio sopraffino. Il Toro fu spietato: dopo un minuto Serena aprì le danze con un’inzuccata delle sue, poi un altro colpo di testa, di Francini, mise in ghiaccio il risultato e nel finale ancora Serena trafisse il Giaguaro Castellini, realizzando l’unico goal di piede del pomeriggio.

All’uscita dello stadio tutti commentavano che Maradona era bravo, sì, ma con il nostro calcio se la sarebbe vista brutta. Danova e poi Ferri, che lo marcavano, gli avevano ringhiato sulle caviglie dal primo all’ultimo minuto, rendendolo quasi inoffensivo: con i mastini delle squadre italiane anche il più grande di tutti avrebbe patito (e non solo per i falli continui ai quali era sottoposto).

Mai previsione si rivelò meno azzeccata: Diego ci mise un po’ ad adattarsi e ad andare a regime, ma poi non ci fu più niente da fare per nessuno. Triturò difese e record e regalò le più belle giocate che ci è stato dato di vedere.

Anche se era un avversario, se amavi il calcio non potevi non impazzire per lui, parabola luminosa come quella di una cometa, troppo presto spenta dalle proprie debolezze e dall’invidia del mondo, simile nel genio e nella fragilità a Marco Pantani, altro asso che non uscirà mai dal nostro cuore.

Domenica prossima ci sarà Toro-Napoli: ogni volta che vedo le maglie della squadra campana scendere sul rettangolo verde, mi viene naturale cercare con gli occhi la sagoma di quel piccoletto irripetibile. Anche se so che non sbucherà più dagli spogliatoi, la sua presenza continua ad aleggiare sul campo come lo spirito del football.

Autore di gialli, con “Cocktail d’anime per l’avvocato Alfieri” ha vinto l’edizione 2020 di GialloFestival. Marco PL. Bernardi condivide con il protagonista dei suoi romanzi l’antica passione per il Toro e l’amore per la letteratura e la canzone d’autore.