Le cronometro possono diventare una prigione? Le parole di Michael Rogers e poi quelle di Pinotti hanno aperto uno squarcio interessante. Grandi campioni a lungo dominatori, costretti ad aumentare un lavoro già asfissiante per l’arrivo di nuovi avversari. Abbiamo pensato a Ganna, costretto da Evenepoel a cercare forza e ispirazione nei dettagli più estremi. Ma abbiamo pensato anche a Cancellara, protagonista 10 anni fa di un finale che pochi sarebbero stati in grado di pronosticare.
Due volte iridato a crono da junior. Poi un filotto impressionante dal 2006 al 2010. Salisburgo 2006, campione del mondo. Stoccarda 2007, campione del mondo. Pechino 2008, campione olimpico. Mendrisio 2009, campione del mondo. Melbourne 2010, campione del mondo. Poi iniziò l’inversione di tendenza. Bronzo nel 2011 e nel 2013, in entrambi i casi dietro Tony Martin e Bradley Wiggins. Nel mezzo, nel 2012, il deludente settimo posto alle Olimpiadi di Londra, staccato di 2’14” dallo stesso britannico, vincitore in quell’anno del Tour.
E quando si pensava ormai alla fine della storia, ecco il colpo di scena con l’oro nella crono alle Olimpiadi di Rio 2016: ultima gara della carriera. Un ritorno su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Nessuno, tranne Luca Guercilena, che aveva già allenato Michael Rogers e in quel fantastico viaggio del 2016 accompagnò Cancellara giorno dopo giorno.


Si può dire davvero che dopo un po’ la crono ti svuota?
La differenza sostanziale è tra preparare la cronometro all’interno di una gara a tappe, rispetto a quelle di un solo giorno come il mondiale, in cui il volume di lavoro specifico che devi fare è altissimo e devi prepararle facendo salire la condizione al massimo. A un certo punto con Fabian saltammo dei mondiali perché si era deciso di non investire più nel preparare la gara di un giorno.
Quanto c’era di fatica fisica e quanto di fatica mentale?
L’intensità psicologica è altissima. Il volume di lavoro specifico che fai ogni giorno dietro motore è di alta intensità, quindi è veramente pesante. Quando preparavamo i vari appuntamenti con Rogers e anche con Cancellara, per 3-4 volte a settimana si facevano sedute dietro motore di tre ore con media/alta intensità. Con ripetute fuori scia, brevi e prolungate. Un lavoro veramente esaustivo, in cui devi essere sempre molto concentrato, perché lavori su blocchi di 30 secondi/un minuto e questo richiede un livello di attenzione elevatissimo. Lo stress psicologico aumenta al pari di quello fisico, perché devi sostenere tutto quel carico.
Come nacque l’idea di tornare alle Olimpiadi, visto tutto questo?
Tutti avevano dipinto la cronometro di Rio come durissima. Io ero andato a vederla l’anno prima con il test-event e sinceramente, nonostante ci fossero due strappi importanti, sul volume totale della cronometro che era lunga 54,6 chilometri, non raggiungevi neanche i 4 chilometri di salita. Quindi sebbene Fabian in quel momento pagasse dazio ai vari Dumoulin e Froome, dichiarammo un doppio obiettivo.


Doppio?
Obiettivi paralleli. Il primo era il suo desiderio di finire la carriera con un bel risultato alle Olimpiadi, per non dover tenere duro per tutta la stagione. Dall’altro lato, ero io che insistevo, perché sebbene tutti dicessero che fosse durissima, secondo me c’era un volume di chilometri di discesa tecnica e di pianura che lo avrebbero favorito. Così ci dicemmo di andare e puntare al miglior risultato possibile. All’inizio pensavamo a una medaglia, poi col passare del tempo e degli allenamenti, i dati iniziarono a dirci che si potesse puntare al grande risultato.
Quanto è durata la preparazione per Rio?
Eravamo già stati in ritiro fra il Giro di Svizzera e il campionato nazionale. Ero andato da lui e avevamo fatto quasi 20 giorni sempre insieme. Poi andammo al Tour de France, ma non c’era una cronometro all’inizio, quindi preparare la prova secca era piuttosto complicato. Arrivammo alla vigilia del secondo giorno di riposo e ci fermammo. Quindi tornai da lui e iniziammo a lavorare per le Olimpiadi, diciamo dal 22-23 luglio per altri 10-15 giorni di lavoro specifico. Neanche più una distanza su strada, tutti i giorni dietro motore per 3-4 ore alla volta.
Più difficile del solito?
Gli ultimi lavori prima di partire per Rio furono veramente impegnativi. Allenamenti di 50 chilometri facendo un chilometro in scia della moto a 60 all’ora e poi 500 metri fuori scia. E’ pesantissimo per la testa eppure Fabian l’ha fatto e anche con la pioggia. Simulavamo anche le salite del percorso. Nel circuito che usavamo, c’era una strada in salita con il birillo in cima, lui arrivava su, ci girava intorno e poi io con la moto lo riportavo subito in velocità. Devi avere veramente gli attributi per fare una roba del genere, tanti altri avrebbero girato e sarebbero tornati a casa.


Quindi subito con la motivazione al massimo?
All’inizio era dubbioso, perché Dumoulin e gli altri gli avevano dato delle belle batoste, per cui il morale non era dei migliori. Sapevamo che con il suo peso, nelle crono di un Grande Giro faceva fatica ad esprimersi. Ma tornato a casa e recuperato lo sforzo del Tour, con il lavoro specifico iniziammo a vedere i numeri salire in modo lineare e cominciò ad arrivare anche il morale. E’ stato anche un lavoro di convincimento, ripetendo che il percorso gli sarebbe piaciuto, ma gli ultimi dubbi se ne sono andati quando finalmente il percorso l’ha visto. Ha fatto un paio di giri un po’ brillanti e ha cambiato sguardo: una medaglia era possibile. E dopo, con gli ultimi allenamenti e vedendo anche le facce degli altri, abbiamo capito che si poteva giocare per l’obiettivo grosso.
Aver preso legnate da Dumoulin o Froome poteva incidere così tanto sulla preparazione?
In quel ciclismo si guardavano già tanto i numeri, più che altro la critical power. Però c’era ancora uno scontro abbastanza forte dell’uomo contro l’uomo. Contava anche il discorso di sfidare l’altro. Mi ricordo che il giorno prima stavamo facendo la sgambata dietro moto e Dumoulin, che probabilmente stava facendo una ripetuta per sbloccarsi, ci passò a doppia velocità e subito la reazione di Fabian fu quella di andargli a ruota. Forse adesso, con la miriade di numeri che riusciamo ad analizzare nel dettaglio, il discorso è più su se stessi e basta.
C’è meno agonismo?
Ci sono altri riferimenti. Un atleta può avere la giornata no, ma quando parte per una cronometro ha tutta una serie di informazioni su se stesso, sul tempo, la temperatura, il pacing e quant’altro, che se è in grado di seguire le indicazioni, al 99 per cento fa la massima prestazione possibile. Poi diventa importante la tecnica, perché se ci sono due o tre curve che ti mettono in difficoltà, vince quello più bravo a guidare la bici. Però se sei su un percorso dritto e piatto, si fa fatica a pensare che vinca uno non pronosticato.


Come dire che battere Evenepoel nelle condizioni a lui favorevoli sia impossibile?
Esatto. Forse prima c’era un discreto livellamento. C’è stato Michael Rogers, poi Fabian, però c’erano anche Dumoulin, Wiggins, Tony Martin, Phinney… C’erano parecchi cronomen competitivi, poi gradualmente si è arrivati allo strapotere assoluto dei singoli. Per cui quando si va in partenza, è difficilissimo che ci siano sorprese, chiaramente in base al percorso.
Tutto il lavoro che ha fatto per la crono, ha inciso sulla carriera di stradista di Fabian?
Sì, per com’era lui, senza dubbio. Per vincere le Roubaix o le classiche del pavé, escludiamo Pogacar che ovviamente è un caso sui generis, è importante essere in grado di fare sforzi intensi e costanti per quasi un’ora. Poi ci sono le varie declinazioni. Boonen era più forte nelle volate, quindi molto esplosivo, ma per brevi tratti riusciva a tenere determinate intensità. Per cui Fabian doveva trovare l’occasione per attaccare e prendergli 10-15 secondi costringendolo a uno sforzo superiore per andarlo a prendere. Indubbiamente avere delle caratteristiche di quel tipo, è stato un vantaggio.
Perdona la domanda scomoda, perché riferita a un atleta non tuo. Visto lo strapotere di Evenepoel, di cui hai parlato, consiglieresti a Ganna di mollare per un po’ le crono per dedicarsi alle classiche?
Bè, considerando tutto quello che ha vinto Ganna a cronometro, potrebbe valerne la pena e forse poteva valerla anche prima. Dobbiamo tutti eterna gratitudine a Pippo per il lustro che ci ha dato, però è ovvio che per il ciclismo in senso assoluto, il Sagan che vince Fiandre e Roubaix ha un impatto maggiore delle tante crono che puoi aver vinto in carriera. Visto quanto Ganna è già andato vicino alla Sanremo, secondo me potrebbe rischiare e lavorare per migliorare nelle classiche o provare a farle un paio d’anni a tutta e basta.


E poi magari tornare a Los Angeles e vincere la crono come Cancellara a Rio?
Sì, senza dubbio. Comunque un cronoman di quel livello non perde le sue caratteristiche. Nel momento in cui ti rifocalizzi a fare un determinato tipo di lavoro, la memoria muscolare ce l’hai e quindi una volta che ci sono la condizione e la salute, riesci lo stesso a fare performance.
Quando capiste che era fatta?
Eravamo tutti sorpresi. Quando passò all’ultimo intertempo, che era a sette chilometri dall’arrivo, aveva 48 secondi di vantaggio e in quel momento capimmo che il bel risultato si stava concretizzando in una medaglia d’oro. Non era il favorito, nessuno lo dava neppure nei primi cinque. Non arrivava da una stagione brillantissima. Ma dimostrò una grande forza psicologica. E chiuse la carriera a Rio con l’oro al collo.
