di
Valerio Cappelli

La vicenda del ragazzo capoverdiano ucciso dal branco diventa un film

A Colleferro i giorni sono tutti uguali e non c’è niente da fare. Willy Monteiro Duarte aveva 21 anni, era felice di aver trovato lavoro come aiuto cuoco in quella cittadina alle porte di Roma con una storia industria sfasciata su uno sfondo agricolo dissolto. Nella notte tra il 5 e 6 settembre 2020, Willy, davanti a una discoteca, viene pestato a morte mentre aiuta un amico in difficoltà che aveva fatto un complimento di troppo a una ragazza. «E’ tutto a posto?», chiede avvicinandosi a un banale battibecco. Quelle quattro parole gli saranno fatali. Piomba un suv, la situazione precipita. Ucciso a calci e pugni in una rissa, senza motivo, 40 secondi e resta a terra, il corpo senza vita.

Alla Festa del Cinema, in gara, dal romanzo di Federica Angeli, l’opera prima 40 secondi di Vincenzo Alfieri. Ha 39 anni, quella realtà l’ha vissuta a Caserta, «la noia, i palazzi tutti uguali, le botte con armi e i coltelli». Il film racconta la brutalità del pestaggio e il sorriso disarmante di Willy, cresciuto a Capoverde e interpretato da Justin De Vivo: «Sono stato preso per caso in uno street casting, mentre ero proprio davanti a una discoteca, è stato come un angelo caduto dal cielo, era quello che dovevo fare». 



















































Nel cast Francesco Gheghi, Enrico Borello, Sergio Rubini che è il padre inerte della ragazza incinta, fidanzata di Marco Bianchi, uno dei due fratelli gemelli picchiatori, col volto di Luca Petrini che dice: «Non è stato semplice immedesimarsi in quel ruolo, io sono pugile, ci insegnano a difendere i deboli». Abituati a spadroneggiare, i due sono stati condannati dalla Corte d’Assise di Appello di Roma rispettivamente all’ergastolo e a 28 anni di carcere. Al giudice hanno detto che quando picchiano sono abituati a controllarsi e a dosare le forze. Due giustizieri della vita altrui.

Uno dei ragazzi era stato lasciato dalla fidanzata e il sabato sera si ubriacò per non pensare. Quell’epiteto anche ingenuo, «ah bella», l’ha vissuto come un affronto alla sua ex, e innesca un meccanismo di possesso. La donna come oggetto del contendere. Il regista ha cercato di capire cosa abbia scatenato quel giorno di ordinaria follia, «ho cercato di entrare nelle loro teste, cosa pensavano quella mattina». Il maresciallo dei carabinieri (Francesco Di Leva) abitava di fronte al luogo dell’omicidio. Futili motivi è l’unica spiegazione. Il film andrà nelle scuole.

17 ottobre 2025 ( modifica il 17 ottobre 2025 | 19:52)